Scegliere di cambiare la propria vita implica la volontà di cambiare il proprio modo di stare nelle relazioni con gli altri e con se stessi.

Quando sentiamo il bisogno di cambiare qualcosa, di solito, crediamo di avere due possibilità: cambiare piccole cose di ogni giorno, cercando di imparare nuove abitudini che riteniamo essenziali, oppure cambiare in grande, partendo dal chiudere relazioni, cambiare lavoro, casa, città e compagnia.

Per quanto queste modalità producano certamente qualche effetto e la necessità di un nuovo assetto, quello che ci tormentava prima è molto probabile che dopo un po’ torni a farsi sentire. Quel qualcosa che prima urlava per uscire, comincia poco a poco a borbottare, ci dice che è ancora lì che aspetta, nonostante tutto.

Il dolore è molto difficile da estirpare senza darsi la possibilità di attraversarlo.

Scegliere di cambiare porta con sé la scelta e il coraggio di conoscersi davvero, guardando dentro se stessi per capire chi siamo e cosa ci fa stare bene, cosa è importante per noi, nella nostra vita, cosa ha valore, quali sono le nostre reali inclinazioni e quello che ci fa sentire realizzati e a proprio agio. E’ un percorso non facile, ma è il percorso da fare se si vuole diventare se stessi.

Esiste un modo per diventare ciò che si è, e questo modo va appreso.

 

Sentirsi intrappolati

Le trappole in cui possiamo sentirci ingabbiati durante la nostra vita sono tecnicamente definite “schemi disadattivi precoci” in psicologia cognitiva, sono cioè pattern comportamentali, cognitivi e affettivi ( cioè relativi al nostro comportamenti, al nostro pensiero e alle nostre emozioni) ampi e pervasivi, che riguardano il nostro personale modo di stare in relazione con gli altri e con noi stessi, sono modalità che abbiamo sviluppato fin da piccoli, e anche in età adulta continuano a condizionare il nostro modo di pensare, di fare e di provare emozioni.

Queste trappole (o schemi) di solito ci fanno molto soffrire, nonostante ciò tendiamo a salvaguardarle e a volerle confermare perché, per quanto dolorose, ci sono famigliari e ci danno una guida da seguire sebbene sia disfunzionale.

Queste trappole, dietro un’apparente sicurezza e prevedibilità però, ci impediscono di accedere davvero a noi stessi, ci impediscono di vedere noi stessi, gli altri e il mondo in modo più nitido e libero, costringendoci a indossarle come se fossero enormi occhiali deformanti che ci impediscono di vedere bene e ci fanno anche male agli occhi mentre però pensiamo di doverli tenere su perché ci spaventa l’idea di vivere senza questo accessorio così familiare.

Smettere di credere in una certa trappola significa abbandonare un aspetto di se stessi che ci dava una bussola, per quanto rotta, era un’indicazione su noi stessi e il mondo, allora ci aggrappiamo a essa anche quando ci porta nel posto sbagliato e ci fa soffrire.

Una trappola ha inizio con qualcosa che ci viene fatto da piccoli, in famiglia, a scuola, tra amici, può essere un abbandono, una critica ripetuta, un’esclusione, un atteggiamento iperprotettivo: qualunque cosa sia è un danno che ci viene fatto durante la nostra infanzia. E’ qualcosa che poi diventa parte di noi stessi tanto che non la vediamo più come qualcosa distinta da noi stessi.

Le trappole determinano il nostro modo di pensare, di sentire, di agire, e entrare in relazione con gli altri, suscitano forti sentimenti di rabbia, tristezza e angoscia, ci impediscono di provare un senso di soddisfazione e equilibrio anche quando sembra che ciò possa essere davvero possibile.

 

Un approccio cognitivo al nostro dolore

Il modo in cui pensiamo agli eventi della vita (cognizioni) determina il nostro modo di sentire nei confronti di questi stessi eventi (emozioni).

“Gli uomini sono agitati e turbati, non dalle cose, ma dalle opinioni ch’essi hanno delle cose” (Epitteto)

L’approccio cognitivo aiuta le persone a stare meglio a partire dalla possibilità di modificare il proprio modo di interpretare le situazioni.

Aaron Beck propone di esaminare i pensieri in modo logico, quando siamo assaliti da pensieri dolorosi che si presentano come assoluti o catastrofici, , possiamo soffermarci a analizzare la situazione e chiederci se possiamo vederla da un altro punto di vista, oppure provare a chiedersi quali sono le prove che sostengono oppure no questa nostra visione degli eventi. Beck propone di mettere alla prova  i nostri pensieri negativi attraverso piccoli esperimenti. L’approccio cognitivo è attivo e rende la persona protagonista del proprio benessere, aiutandola a controllare il proprio umore controllando i propri pensieri.

La Schema Therapy (o in modo colloquiale, la terapia delle trappole) cerca di aggiungere all’approccio cognitivo qualcosa di più complesso che possa sradicare abitudini e credenze consolidate e dolorose.

 

Riconoscere le trappole

Una trappola è autodistruttiva, questo aspetto di autolesionismo la rende particolarmente difficile da osservare e individuare, e allo stesso tempo è facile da inseguire in modo ciclico e ripetitivo, le persone sono attratte dalle proprie trappole e tendono a reiterarle. Le trappole danneggiano il senso di sé, la salute, le relazioni, il lavoro, l’umore: coinvolgono ogni aspetto della vita. Le trappole lottano per sopravvivere e lo fanno ai nostri danni. Sebbene ci facciano male vogliamo confermarle per avere ragione e credere in un certo senso di coerenza: si sono sviluppate come strategie di adattamento alla nostra famiglia fin da piccoli, e nel tempo continuiamo a usarle e ritenerle utili.

 

Possiamo individuare undici trappole e suddividerle in sei aree:

. Area Sicurezza di base:

  • abbandono: con questa trappola si ha la sensazione che i legami affettivi fondamentali siano instabili, gli altri appaiono inaffidabili e imprevedibili, pronti a abbandonarci.
  • sfiducia/abuso: con questa trappola si ritiene che gli altri vogliano approfittarsi di noi, si teme di essere oggetto di violenze o manipolazioni o inganni.

. Area Rapporti con gli altri:

  • deprivazione emotiva: con questa trappola i legami appaiono emotivamente insoddisfacenti. Può essere percepita una carenza di cure e attenzioni, una carenza di ascolto e comprensione o una carenza di protezione.
  • esclusione sociale: con questa trappola ci si sente diversi e incompatibili con gli altri, non ci si sente mai parte di un gruppo o una comunità.

. Area Autonomia:

  • dipendenza: con questa trappola ci si sente incapaci di gestire in modo adeguato le responsabilità della vita quotidiana in modo autonomo, si sente un costante bisogno di aiuto degli altri.
  • vulnerabilità: con questa trappola si ritiene che possa accadere qualcosa di catastrofico da un momento all’altro e che non si possa fare nulla per impedirlo.

. Area Autostima:

  • inadeguatezza: con questa trappola ci si sente sbagliati, inferiori, si ritiene di dover nascondere parti di se stessi che, se scoperte, comporterebbero un rifiuto da parte degli altri. Questo porta grande sensibilità alle critiche, al rifiuto e ai rimproveri.
  • fallimento: con questa trappola si ritiene di non essere in grado di raggiungere i propri obiettivi o di essere sostanzialmente inferiori agli altri.

. Area Espressione di sé:

  • sottomissione: con questa trappola ci si sente sottomessi al controllo degli altri per evitare la loro possibile rabbia o disapprovazione e dunque un possibile abbandono. Si è convinti che i propri bisogni o desideri possano essere ininfluenti per gli altri, questo può creare un senso di frustrazione e rabbia e un conseguente senso di colpa.
  • standard severi: con questa trappola si è convinti di dover seguire e rispettare rigide regole e standard etici e prestazionali che si ritengono assoluti allo scopo di evitare di essere oggetto di critiche e osservazioni altrui. Questo può portare a forme estreme di perfezionismo e regole molto rigide, insieme alla conseguente sensazione che niente sia mai abbastanza.

. Area Limiti realistici:

  • pretese: con questa trappola ci si sente superiori, si ritiene di dover avere privilegi e diritti particolari, poter ottenere tutto ciò che si vuole, si ha un atteggiamento competitivo con mancanza di rispetto delle esigenze dell’altro.

Tre stili che usiamo per cercare di affrontare le trappole: resa, fuga e contrattacco (o ipercompensazione) 

Ogni persona affronta le proprie trappole in modo diverso, cerca di gestirle come ritiene meglio, evitando il più possibile il dolore con strategie diverse a seconda del caso. Persone diverse possono reagire a una stessa situazione in modo diverso o opposto, questo dipende da diversi fattori, come per esempio il temperamento di ognuno e l’esempio che ognuno sceglie di seguire, più o meno consapevolmente, aderendo per esempio al ruolo passivo o attivo a cui aderire.

Esistono tre possibili strategie di coping, cioè tre stili per provare a fronteggiare le trappole, che ognuno di noi può scegliere di utilizzare in situazioni diverse. Questi stili di coping sono: la resa, la fuga e il contrattacco (o ipercompensazione).

Ognuno può usare uno di questi stili per affrontare una stessa situazione, con esiti quindi molto diversi tra loro.

 

Con la RESA distorciamo la nostra visione delle situazioni in modo da confermare la nostra trappola, reagiamo con sentimenti intensi quando la trappola si attiva, ogni evento può confermare la trappola, la resa comprende pattern distruttivi conosciuti fin dall’infanzia in un ciclo continuo disfunzionale da cui sembra impossibile uscire.

Con la FUGA evitiamo di pensare alla trappola e anche di sentire le emozioni dolorose a essa associate (per esempio utilizzando farmaci, droghe, alcol, troppo cibo o troppo lavoro). Con questo stile si resta comunque dentro alla trappola senza superarla mai.

Con il CONTRATTACCO (o ipercompensazione) cerchiamo di controbilanciare la trappola convincendoci che sia vero il contrario. In questo modo cerchiamo di coprire emozioni dolorose ostentando l’opposto, quindi vivendo relazioni di facciata senza accedere a una parte vera e autentica di noi stessi per non fare i conti col dolore e sensazioni che non vogliamo sentire.

 

Scegliere di cambiare le trappole

Le trappole sono pattern profondamente radicati in noi stessi e per questo sono difficili da estirpare. Il cambiamento richiede la disponibilità ad attraversare il dolore, affrontando la trappola, riconoscendola e comprendendola da vicino, senza paura. Questo percorso verso il cambiamento richiede quindi volontà, determinazione, capacità di ascolto di se stessi e disciplina, il cambiamento richiede una pratica costante e molta fiducia nella possibilità di riuscire a cambiare e, quindi, a stare meglio nella propria vita.

 

Se stai pensando di intraprendere un percorso di supporto psicologico per migliorare il tuo benessere personale,
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Riferimenti bibliografici:

Reinventa la tua vita, di J. E. Young e J. S. Klosko, ed. Raffaello Cortina, 2004

Schema Therapy, di J.E. Young, J. S: Klosko, M. E. Weishaar, ed. Eclipsi, 2007