Le emozioni dolorose sono qualcosa che impariamo a evitare ben presto, o almeno ci impegniamo attivamente per farlo utilizzando strategie diverse anche se spesso non efficaci, infatti durante l’evoluzione abbiamo ereditato la predisposizione a evitare tutto quello che potrebbe danneggiarci, provando così a tutelare la nostra sicurezza e la nostra sopravvivenza, e ricercando la comodità (per esempio: quando attraverso la strada guardo bene che non ci siano auto in arrivo, oppure controllo la data di scadenza del cibo prima di mangiarlo). Tuttavia, questo aspetto che ci è spesso ampiamente utile, diviene dannoso se usato in modo troppo rigido o pervasivo, questo comportamento cioè diventa maladattivo ogni volta che tentiamo di utilizzarlo per gestire aspetti immodificabili o inevitabili della vita. 

Paradossalmente, il tentativo di evitare i pensieri e gli stati d’animo sgraditi può portarci a sperimentarli più frequentemente o più intensamente. Quando proviamo sensazioni o sperimentiamo pensieri dolorosi e emotivamente coinvolgenti, possiamo reagirvi come se fossero una rappresentazione fedele della realtà (Hayes et al. 2001): se il pensiero ‘nessuno vuole stare con me‘ è preso alla lettera viene considerato come una verità, dunque le opzioni comportamentali si restringono, portando il soggetto all’isolamento e limitandone le possibilità d’azione.

L’evitamento esperienziale ostacola la possibilità di una vita ricca di significati e soddisfazioni.

L’accettazione esperienziale (acceptance), o disponibilità (willingness) è un’alternativa più funzionale per relazionarsi con i propri vissuti: i processi basati sull’accettazione, infatti, implicano un atteggiamento aperto e non giudicante di fronte all’esperienza emozionale. Questa disponibilità a stare in contatto con l’emozione dolorosa non è fine a se stessa ma aiuta a perseguire una vita degna di essere vissuta.

Dunque, in questo contesto, l’accettazione non implica la ricerca di esperienze spiacevoli, ma quando ci confrontiamo con la realtà è probabile incontrare difficoltà e dolore o eventi indesiderati che vanno oltre la nostra possibilità di controllo o gestione. Essere disponibili non significa abbandonarsi a questo dolore ma significa prendere atto dell’inevitabilità di alcuni eventi complessi che portano emozioni dolorose (Linehan, 1993).

1)Capire e praticare l’accettazione

E’ importante diventare consapevoli delle proprie strategie di evitamento messe in atto nel tentativo di gestire le emozioni spiacevoli o di controllo degli eventi interni, e capire come questi tentativi non ci portino ai risultati attesi.

Possiamo iniziare a chiederci quando abbiamo iniziato a cercare di gestire le emozioni spiacevoli in questo modo e se e quando è stato efficace, allo stesso tempo chiederci se siamo mai riusciti a non reagire a un’emozione sgradevole, osservando i pensieri come semplici prodotti della mente, smettendo di lottare contro di essi e indirizzando le energie verso altri obiettivi.

Esercizio: l’automonitoraggio giornaliero: questo esercizio consiste nel mettere in atto volutamente dei comportamenti significativi e intrinsecamente gratificanti, che determinino in loro un senso di padronanza sulla propria vita e costituiscano una forma di attivazione comportamentale, in questa settimana è utile provare a osservare e accettare pensieri e emozioni che affiorano alla coscienza valutando poi la propria esperienza rispetto a tre dimensioni su una scala da 1 a 10: il grado di disponibilità sperimentato, il livello di disagio provato e l’entità dell’impegno profuso.

 

2) Praticare la defusione

Il termine defusione si riferisce a un processo con cui poter ‘entrare in contatto’ con i propri prodotti verbali per quello che sono, non per ciò che dicono di essere (Wilson e DuFrene, 2009). Il termine prodotti verbali si riferisce  ai pensieri e agli altri eventi mentali che sono considerati come dei comportamenti verbali. La defusione ci aiuta a osservare i pensieri per quello che sono, cioè fenomeni mentali, e non eventi da prendere alla lettera o rappresentazioni corrette della realtà.

Questa tendenza a concretizzare le rappresentazioni mentali è definita fusione cognitiva (Hayes et al., 1999). Le tecniche di defusione permettono di ampliare lo spettro delle sue possibili risposte comportamentali di fronte a pensieri angosciosi o emozioni problematiche, con la defusione aumenta la flessibilità. Nella defusione non si cerca di modificare il contenuto del pensiero ma solo di imparare a osservare i pensieri come semplici fenomeni mentali. La defusione è una componente della consapevolezza non giudicante.

Esercizio: proviamo a chiederci: ‘Devo credere a tutto ciò che penso?’ ‘Posso semplicemente osservare i miei pensieri senza esserne sopraffatto?’ 

P.S. Puoi approfondire la defusione cognitiva qui: Sono solo pensieri: sciogliere il dolore del pensiero con la defusione cognitiva

 

3) Usare le metafore

La metafora non è un mezzo per trasferire conoscenze: serve, piuttosto, a stabilire una nuova relazione tra gli eventi mentali favorendo una modificazione comportamentale. Affinché una metafora sia efficace deve basarsi su elementi comuni e quotidiani, deve evocare un ricco schema sensoriale, deve descrivere una serie di eventi, interazioni o relazioni, e avere più interpretazioni possibili. Le metafore possono aiutare a sviluppare una certa flessibilità psicologica.

Esempio: la metafora dei mostri sull’autobus

Immagina di essere l’autista di un autobus, l’autobus che sta guidando rappresenta la sua vita con le sue esperienze, le sfide, i punti di forza che lo hanno portato fino a qui, e ora sta cercando di raggiungere una meta importante, cioè i suoi obiettivi e le cose in cui crede e che ha scelto, per lui sono molto importanti e si impegna per perseguirli.

Come ogni autista, ogni tanto deve fermarsi per far salire o scendere dei passeggeri, alcuni di questi sono molto difficili da gestire perché sono, effettivamente, dei  mostri: alcuni mostri sono le autocritiche, altri il panico, la paura, le preoccupazioni sul futuro. Questi mostri sono indisciplinati e maleducati: insultano e a volte picchiano l’autista, gli urlano di fermarsi, gli urlano che è un incapace, lo deridono, lo minacciano. L’autista si distrae così dal percorso per difendersi dai mostri e per decidere se sia meglio lottare contro di loro, fermarsi per farli scendere. Tuttavia si accorge che così facendo sta sbagliando strada e sta perdendo tempo, ciò che può fare e scegliere di non reagire e provare a condurre l’autobus nella giusta direzione impiegando le energie su questo obiettivo ignorando i mostri che continuano a blaterare e disturbare in sottofondo.

 

4) Fermare la ‘guerra’  

In questa ultima tecnica possiamo utilizzare la metafora di una guerra o una battaglia per indicare i nostri conflitti interiori e le esperienze dolorose.

Esercizio: proviamo a rilassarci per esempio sedendosi su una poltrona, occhi chiusi, respirazione lenta, muscolatura distesa, possiamo provare a creare uno spazio mentale per accogliere le sensazioni di tensione e disagio, provare a smettere di combatterle, accogliendole. Restare esattamente in questo momento. Concentriamoci sulle emozioni che emergono, se ci sono conflitti, guerre che sono in atto dentro di noi, concediamo loro spazio e osserviamole nel loro sforzo, nella loro fatica, con un’attenzione aperta e compassionevole, abbandonando ogni combattimento. Provare a abbandonare questa guerra con coraggio e impegno, accettando pienamente quello che si è, qui e ora.

 

Conclusioni

Imparando a restare in contatto con le emozioni negative si impara a tollerare il dolore e si scoprono nuove modalità per attraversarlo. Aprendoci a altre possibilità, anziché mirare solo al controllo dei vissuti spiacevoli, è possibile dedicarsi a perseguire nuovi obiettivi ritenuti importanti, scegliendo la direzione migliore da percorrere. Gli aspetti che concorrono a realizzare questo processo sono la consapevolezza non giudicante, la compassione verso se stessi, e la disponibilità a vivere pienamente gli eventi mentali senza lasciarsi controllare dal contenuto dei pensieri e dalle proprie emozioni.

Questi fattori hanno un ruolo nel favorire una regolazione emozionale nel contesto di una vita ben vissuta, infine, accettazione e defusione permettono di prendere le distanze dai propri pensieri automatici, promuovendone la consapevolezza dei propri schemi emozionali e la capacità di mettere in discussione i propri pensieri negativi.

 

Riferimenti bibliografici:

La regolazione delle emozioni in psicoterapia, di R.L.Leahy, D.Tirch, L.A. Napolitano. Ed Erickson, 2011.

 

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