Quando una persona pensa a sé stessa, nel tentativo di crearsi un’immagine di sé coerente e consapevole delle proprie emozioni, può andare incontro a varie rappresentazioni di sé sia positive che negative. Una delle possibili sfaccettature presenti nella rappresentazione di sé è la vergogna.

Ci sono sempre più evidenze del fatto che memorie di vergogna possono agire come memorie traumatiche, essendo caratterizzate dalla stessa intrusività e generando una risposta di iper-attivazione e continui sforzi per evitare l’emozione di vergogna. Anche per questo è importante approfondire l’esperienza della vergogna connessa a diversi aspetti della vita interiore e relazionale di ognuno.

Secondo la Compassion Focused Therapy, ci siamo evoluti anche attraverso il tentativo di creare emozioni positive riguardo a noi stessi nella mente degli altri. In particolare:

  • Siamo nati con il bisogno di connetterci alla mente degli altri e sentirci accuditi. Questo genera in noi il desiderio di connetterci a livello sociale con gli altri, trovare accettazione e senso di appartenenza affinché le relazioni di aiuto siano facilitate, essere desiderati, apprezzati e stimati. Se riusciamo a garantirci questi elementi, allora i nostri mondi sono percepiti come più sicuri e affidabili e il nostro sistema della minaccia ha un basso livello di attivazione: le relazioni di aiuto hanno un effetto regolatore sulla nostra fisiologia (Baumeister e Leary, 1995).

 

  • Il modo in cui sperimentiamo le nostre relazioni intime (caratterizzate da supporto oppure da trascuratezza) e le nostre relazioni tra pari (caratterizzate da accettazione oppure da rifiuto) ha un grande impatto su come sentiamo di essere rappresentati nella mente degli altri. Essere vulnerabili alla vergogna esterna vuol dire essere sensibili alle emozioni e ai pensieri negativi che riguardano noi stessi presenti nella mente degli altri. Comprendere in che modo esistiamo per gli altri è fondamentale per i nostri sentimenti di sicurezza nel mondo.

 

  • Esistono due principali strategie difensive alla vergogna esterna: la risposta internalizzata, in cui si adotta una strategia subordinata e sottomessa, connessa al monitoraggio di sé e all’autorimprovero, e una risposta esternalizzata, connessa alla sensazione di essere umiliati, in cui si mette in atto una strategia di attacco nel tentativo di creare un senso di sicurezza dato dalla capacità di intimorire gli altri, potenzialmente aggressivi o rifiutanti.

 

  • La vergogna riflessa si riferisce alla vergogna che altri possono generare in noi per il solo fatto di essere associati a loro e alla vergogna che possiamo generare negli altri.

 

 Vergogna interna e esterna

La Compassion Focused Therapy fa distinzione tra le paure e le credenze che riguardano il mondo sociale esterno (ciò che gli altri pensano di noi) e le paure e le credenze che riguardano il mondo interno (come la paura di essere inadeguati, di fallire, di non riuscire a controllare le proprie emozioni o i propri pensieri, ecc.). Esiste una frequente sovrapposizione e interazione tra paure che provengono dal mondo esterno e da quello interno, tuttavia è importante distinguerle tra loro per poterle affrontare in modo accurato.

Per esempio, la fine di una relazione sentimentale può generare molta sofferenza, ma quando è presente il senso di vergogna, è possibile individuare due diversi flussi di pensiero:

  • Vergogna esterna: l’attenzione è posta su ciò che gli altri pensano di me, percepisco il sé come oggetto, penso che la relazione sia finita perché l’altro ha perso interesse per me, mi vede noioso o inadeguato. La paura chiave è: gli altri mi rappresentano come una persona noiosa, incapace di generare amore e affetto negli altri, destinata a essere sola (riattivazione di memorie infantili di esperienze relazionali con gli altri)
  • Vergogna interna: l’attenzione è posta all’interno, percepisco il sé come soggetto, spesso mi sento insicuro rispetto a ciò che devo dire o fare, ho paura che questa preoccupazione mi impedisca di fare ciò che vorrei. Penso che tutto ciò sia patetico, penso che io sono patetico. La paura chiave è: sono incapace di cambiare ciò che in me non va e restare bloccato in un sé che non è desiderabile, restare bloccato nella sensazione di essere solo e infelice (riattivazione delle memorie infantili dell’esperienza intima del sé).

 

Vergogna e trauma

Esistono due tipi di trauma correlati alla vergogna che possono produrre un’attivazione del sistema di protezione dalla minaccia. Il primo tipo è l’abuso: un trauma causato dall’intrusione, dove un’altra persona ha violato i confini di un individuo, insieme alla sua possibilità di mantenere il controllo sugli stessi confini, un’esperienza percepita come fortemente spaventosa e dolorosa. Il secondo tipo è connesso all’essere troppo distanti dagli altri: un trauma causato da un distacco affettivo o un’indifferenza affettiva e relazionale. Da qui scaturisce la vergogna di non essere abbastanza buoni da essere scelti o desiderati dagli altri.

 

Vergogna e senso di esclusione

In questo caso la vergogna è connessa alla sensazione di essere stati raramente notati o desiderati, non è un rifiuto attivo ma piuttosto un disinteresse passivo, la persona si sente poco importante per gli altri, poco interessante, poco attraente, e può trovarsi a lottare per conquistare attenzione e considerazione nel tentativo di sentirsi connessa agli altri, aspettativa raramente raggiunta con soddisfazione.

Uno dei bisogni più pervasivi di ogni essere umano è quello di sentirsi connesso agli altri, questo senso di connessione viene invalidato dal senso di paura che porta a una sensazione di isolamento dagli altri, e invece di contrastare la paura fornendo connessione e sicurezza, amplifica il senso di solitudine e disconnessione, attivando il senso di allerta e di pericolo di fronte alla paura di essere esclusi e dunque soli.

 

Vergogna connessa all’intrusione e alla violazione

Le persone che soffrono delle intrusioni da parte degli altri, possono sentire di non avere il potere di fermare o difendersi da ciò che l’altro sta facendo loro, e sentirsi piccoli e indifesi. Subire un abuso verbale che induce a vergognarsi di sé equivale a introdurre etichette negative e significati nocivi per la persona che ne è vittima, ci sono dati a sostegno del fatto che l’abuso verbale possa dare origine a conseguenze gravi tanto quanto l’abuso fisico e sessuale (Teicher et al. 2006).

 

Vergogna e inadeguatezza

Spesso la vergogna è il sentimento che contraddistingue un pensiero caratterizzato da inadeguatezza.

Le persone che sperimentano la sensazione di non essere sufficientemente adeguate o degne di essere amate, vivono con profondo dolore il rapporto con gli altri, manifestando spesso un atteggiamento di insicurezza, o al contrario compensandolo con un atteggiamento di arroganza. Questo è un sentimento di vergogna profondo e diffuso, difficile da rivelare agli altri, e a volte negato anche a sé stessi. Questi sentimenti dolorosi hanno come conseguenza un possibile stile di vita caratterizzato dal distacco dagli altri e comportamenti di evitamento.

 

Vergogna e depressione

Le persone con memorie autobiografiche legate alla vergogna presentano un maggior numero di sintomi depressivi, emerge, inoltre, una maggiore tendenza a controllare o evitare emozioni, sensazioni, pensieri, sia da parte dei soggetti che percepiscono le esperienze di vergogna come fondamentali per la propria identità e storia di vita.

 

Vergogna e evitamento

Il tentativo di evitare le esperienze interne dimostra un ruolo chiave nel determinare l’impatto delle memorie di vergogna e della loro centralità sulla psicopatologia. Ricorrere in modo pervasivo all’evitamento di situazioni che possono evocare vergogna è emerso come un importante mediatore tra memorie di tale emozione e sintomi.

 

Vergogna e autocritica

L’autocritica è un aspetto molto comune nella vergogna, ne esistono diverse forme e funzioni.

Secondo Whelton e Greenberg (2005) non è tanto il contenuto cognitivo dell’autocritica a produrre il maggior numero di effetti patogeni, ma sono piuttosto le emozioni di rabbia e disprezzo che si accompagnano all’autocritica. Un esempio può essere l’autocritica che si focalizza sull’inadeguatezza e riguarda di solito temi come la delusione o il senso di inferiorità. Un altro esempio invece è l’autocritica connessa all’odio per se stessi.

Come e perché nasce l’autocritica

Il primo compito per un bambino è quello di stare al sicuro e proteggersi, se il comportamento di un genitore o di un compagno è imprevedibile, il bambino imparerà che il contatto con queste persone è fonte di un pericolo costante, e imparerà così a non provocare nessuna possibilità che queste persone possano comportarsi in modo imprevisto, cioè imparerà a pensare che il loro comportamento possa essere sotto il suo stesso controllo, a patto che segua una serie di regole auto-monitorandosi, perché il proprio comportamento è la sola variabile che può controllare, e auto-incolpandosi ogni volta che gli sembrerà di aver attuato comportamenti capaci di innescare nell’altro un comportamento di aggressione o rifiuto.

Come smontare l’autocritica

In questo senso, lavorare con la parte autocritica, è impegnarsi a sviluppare il sé compassionevole che sia capace di essere saggio, gentile e come un genitore. La persona con una forte autocritica tende a criticare se stessa anche quando si trova nel dolore e nella sofferenza, cerca di combattere il dolore non permettendo a se stessa di provare queste emozioni, e in questo modo non potrà permettere alla sofferenza di trasformarsi e alleggerirsi.

Imparare a parlare alla propria parte sofferenza con comprensione e accettazione è il primo passo per trasformare questo dolore.

Un esempio di pratica compassionevole potrebbe essere questa, da scrivere con parole proprie e rileggere ogni volta che se ne sente il bisogno, con voce gentile e non giudicante, con compassione.

 

“Non sono solo in questo dolore che sento. Siamo tutti immersi nella vulnerabilità del mondo. È normale sentire quello che sento.
Non ho scelto io questo momento di difficoltà, non è colpa mia se sto provando dolore.
Possa io essere gentile con me stesso in questo momento e darmi tutta la compassione e la comprensione di cui ho bisogno. Possa io accettarmi e perdonarmi per ogni cosa che sento.”

 

Riferimenti bibliografici: 

La terapia focalizzata sulla compassione, di Paul Gilbert. Ed. Franco Angeli (2012)

 

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2 commenti
  1. Luigi Marini
    Luigi Marini dice:

    Davvero una interessante, ben articolata es esaustiva descrizione delle.varie componenti che generano vergogna e le conseguenze che ne derivano. Non so se mi sbaglio, ma la terapia compassionevole del sé mi sembra che attinga anche ad elementi che contraddistinguono la medicina narrativa. Riscrivere con parole proprie una narrazione compassionevole del perché si prova vergogna assomiglia molto alla prassi del racconto di sé in medicina narrativa.

    • Daria Tinagli
      Daria Tinagli dice:

      Sì, ci sono elementi comuni legati alla voce da utilizzare verso se stessi.

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