La depressione è una malattia che riguarda moltissime persone. L’OMS stima che fra trent’anni sarà la malattia psicologica più diffusa al mondo.
Eppure se ne parla poco e male, con vergogna, con pudore, con un senso di colpa costante. Anche per questo trovo importante provare a scriverne in modo più chiaro possibile, provando a fare luce su alcuni concetti essenziali che sono alla base del Disturbo Depressivo e sulle possibili terapie ad oggi più efficaci.
Qualche dato sulla depressione
Da numerose indagini epidemiologiche emerge che la depressione può riguardare in un anno fino a il 2% dei bambini, il 4% degli adolescenti e dal 4% al 10% degli adulti. Circa il 15% delle persone ha un episodio di depressione almeno una volta nella vita (una donna su quattro e un uomo su otto). Circa la metà delle persone che ha sperimentato un episodio di depressione una volta ne avrà un altro.
La depressione si manifesta di solito tra i 20 e i 50 anni, ma può insorgere anche prima (dai 15 ai 19 anni) oppure dopo i 50 anni. La fascia di età più a rischio è tra i 35-45 anni. Dopo i 60 anni è meno frequente ma ha effetti molto gravi.
Ma di cosa parliamo quando parliamo di depressione?
E’ difficile identificare dove finisce la tristezza o lo sconforto e dove comincia la depressione.
Per parlare di depressione i sintomi devono persistere da almeno due settimane e essere tali da modificare e compromettere la quotidianità della persona, le sue relazioni, il suo lavoro, la sua routine.
I sintomi specifici previsti dalla comunità scientifica per poter porre una diagnosi di Disturbo Depressivo Maggiore sono almeno due tra questi:
- stato d’animo triste, sentirsi giù, abbattuti per la maggior parte del giorno, quasi ogni giorno, questi sentimenti di tristezza sono presenti soprattutto al mattino
- perdita di interesse e di piacere verso attività che prima invece piacevano
- sensazione di valere poco, essere inutile, fallito, senso di vuoto
- senso di colpa eccessivo, di essere indegno
- difficoltà a concentrarsi nelle cose da fare e nel prendere decisioni
- incapacità di pensare lucidamente
- disturbi del sonno
- cambiamento dell’appetito
- agitazione, irrequietezza o rallentamento
- minore energia, stanchezza, affaticabilità
- pensieri di sconforto, disperazione, morte
Possibili cause della depressione
Ancora non è ben chiaro quali siano le reali cause della depressione, attualmente si propende per un modello eziologico che considera l’interazione di tre elementi: fattori biologici, fattori genetici, fattori psicosociali.
Dunque è possibile che ci sia una predisposizione nella persona a sviluppare un disturbo depressivo e che eventi particolarmente stressanti possano scatenare l’insorgenza del disturbo depressivo, soprattutto nelle persone carenti di adeguate abilità di coping e fronteggiamento di difficoltà particolarmente complesse.
Gli eventi stressanti, di per sé, non sono causa di depressione, ma possono essere quella goccia che fa esacerbare una difficoltà già insita nella persona stessa in un periodo di particolare vulnerabilità personale.
Conseguenze della depressione
La depressione è fortemente invalidante e difficile per chi la attraversa, ma è altrettanto dolorosa per i familiari. Stare vicino a qualcuno che soffre di depressione può essere faticoso, perché i tentativi di senso comune per aiutarlo si riveleranno quasi sempre fallimentari.
Una persona che soffre di depressione, se è vero che non fa quasi mai qualcosa ‘per tirarsi su’ è anche vero che non fa niente per stare male come sta, semplicemente è una persona malata che dovrà affrontare la sua malattia in modo proattivo, chiedendo aiuto a un esperto, scegliendo di seguire un percorso di cura specifico.
Terapie efficaci per la depressione
La depressione è affrontabile con i farmaci (che possono essere somministrati da medici, psichiatri o psicoterapeuti con una laurea in medicina) e con la psicoterapia (che può essere esercitata da psicologici psicoterapeuti o medici psicoterapeuti).
Esistono centinaia di approcci psicoterapeutici, ma soltanto due di questi hanno dimostrazioni scientifiche di efficacia: la psicoterapia cognitivo-comportamentale e la psicoterapia interpersonale. Tra queste, la prima è la più utilizzata.
Le principali linee guida internazionali (NICE 2009) raccomandano come intervento di prima scelta (nelle forme di depressione lieve e media) interventi di terapia cognitivo-comportamentale.
Approccio cognitivo-comportamentale
Secondo il modello cognitivo-comportamentale esiste un preciso collegamento tra eventi – emozioni – comportamenti, costituito dal modo soggettivo in cui ognuno interpreta ciò che accade. Persone diverse possono avere pensieri diversi di fronte allo stesso evento e reagire dunque in modo diverso. Quanto più il modo di ognuno di pensare e interpretare un evento è rigido, inflessibile e categorico, tanto più forte e estrema sarà l’emozione suscitata e il comportamento che ne conseguirà.
Depressione e comportamento
In linea generale, la psicologia comportamentale si occupa dell’effetto del comportamento sulla persona. In particolare, nella depressione si ha tipicamente una progressiva riduzione delle attività piacevoli che rinforzano (cioè sono in grado di confermare) un’idea positiva di sé, delle relazioni, del mondo, con una conseguente sensazione di gratificazione. Nella depressione questo comportamento funzionale e abituale, si riduce sempre di più, fornendo alla persona stessa un numero sempre minore di esperienze positive e rinforzanti. Questo può creare una sorta di circolo vizioso molto difficile da contrastare.
Una terapia comportamentale si concentrerà sull’individuazione delle attività piacevoli e utili (attraverso una analisi funzionale), e aiuterà a ripristinarle in modo graduale, imparando a gestire gli evitamenti (probabilmente inizialmente appresi come strategia apparentemente efficace per gestire un primo senso di malessere), a fare un piano per modificare lo stile di vita attuale. Successivamente sarà possibile imparare un metodo strutturato di soluzione di problemi (problem solving) e raggiungimento degli obiettivi che probabilmente è stato ampiamente trascurato.
Depressione e pensiero
La psicologia cognitiva si basa su un fondamento logico-teorico secondo il quale il comportamento di una persona è largamente determinato dal suo modo di strutturare, di pensare e interpretare il mondo. In particolare, la psicologia cognitiva si è occupata della depressione con Aaron Beck, negli Anni Sessanta.
Beck ritiene la depressione caratterizzata da tre schemi negativi di pensiero:
- su se stessi (è presente un eccesso di autocritica),
- sul mondo (il mondo è visto come ostile e ingiusto)
- sul futuro (idee di pessimismo, sfiducia)
La terapia cognitiva aiuta a identificare questi tre schemi, questi tre modi abituali e ormai automatici di pensare a sé, agli altri, al futuro. Sono possibili anche homework (compiti a casa) per imparare a lavorare sui propri schemi di pensiero disfunzionali. Successivamente sarà possibile impostare una ristrutturazione cognitiva, in modo da sostituire i pensieri catastrofici o negativi con pensieri più funzionali e realistici, fondandosi su esperienze dirette e una diretta confutazione e discussione di essi.
Tali pensieri disfunzionali sono presenti in ognuno, in modo più o meno radicato e sono:
- saltare alle conclusioni
- leggere la mente
- pensiero dicotomico (tutto o nulla, bianco o nero)
- generalizzare
- catastrofizzare
- fare l’oracolo
- filtrare la realtà e sminuire
- personalizzare
- giudicare in base alle emozioni
Il ruolo centrale della ruminazione nella depressione
Chi soffre di depressione sperimenta frequentemente uno stato di ruminazione, cioè una modalità di pensare in modo costante, senza sosta, in modo quasi automatico e impossibile da interrompere, la sensazione tipica è quella di non riuscire a fermare il proprio pensiero.
La ruminazione è un aspetto centrale nella depressione, è un fattore che la mantiene e aumenta la probabilità di ricadute.
La ruminazione può sembrare simile a una sorta di riflessione, ma va nella direzione opposta. Una riflessione ha lo scopo di individuare una soluzione a un problema, trova strategie concrete di gestione di un problema. La ruminazione invece si avvita su stessa senza riuscire a accedere a una possibile soluzione. La ruminazione però dà l’illusione di essere sulla strada giusta, motivo per cui la persona persevera in questa abitudine disfunzionale senza riuscire a interromperla. Questo comportamento è mantenuto da convinzioni circa la ruminazione, come per esempio:
- ruminare mi aiuta a trovare una soluzione
- ruminare mi aiuta a controllare la situazione
- ruminare mi aiuta a rimandare il problema
- ruminare mi fa sentire più calmo
- ruminare mi fa capire il perché delle cose
In realtà la ruminazione allontana dalla situazione che si vuole gestire, estranea dal presente e rende inefficaci. La persona che sperimenta ruminazione può essere convinta che sia inevitabile farlo e sia impossibile smettere di praticarla.
Invece è possibile imparare a affrontarla. Prima di tutto è necessario imparare a riconoscere quando si sta ruminando. Poi si deve scegliere di voler cambiare questa abitudine. In seguito sarà possibile imparare a applicare numerose strategie per smettere di ruminare, per esempio spostando l’attenzione oppure imparando a non reagire a essa. Più diamo spazio a un pensiero disfunzionale, più grande è il suo potere di influenzarci.
PS: Il titolo di questo articolo è liberamente ispirato a un racconto di R. Carver (Di cosa parliamo quando parliamo d’amore)
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Bibliografia:
Terapia cognitiva della depressione, di A.T. Beck, A.J. Rush, B.F. Shaw, G. Emery, Ed. Bollati Boringhieri
Terapia metacognitiva dei disturbi d’ansia e della depressione, di A. Wells, Ed. Eclipsi
Ruminazione depressiva, di A. Wells e C. Papageorgiou, Ed. Erickson
Schemi cognitivi e credenze di base, di L.P. Riso, P.L. Du Toit, D.J. Stein, J.E. Young, Ed. Eclipsi
Superare la depressione, di D. Leveni, P. Michielin, D. Piacentini, Ed. Eclipsi