Ho letto Il fiume della coscienza, l’ultimo libro di Oliver Sacks, medico, chimico, accademico e scrittore britannico, amato per la sua capacità di parlare di neurologia in modo coinvolgente e compassionevole e detestato per gli stessi identici motivi da alcuni colleghi e non solo.

Ho letto Il fiume della coscienza, una raccolta di dieci saggi su dieci argomenti che stanno a cuore a Oliver Sacks, e il mio preferito è stato Il sé creativo. Un saggio che parla di un argomento perfetto per questi primi giorni di vacanza: l’importanza di una narrazione costante e duratura che sia capace di sorreggere l’apprendimento, l’immaginazione e la creatività.

Mi sono avvicinata ai suoi libri molti anni fa, ancor prima di scegliere di studiare psicologia, e il suo modo semplice, diretto, totalmente coinvolto di raccontare di patologie neurologiche ma soprattutto di persone piene di risorse, mi ha commossa, mi ha intenerito, mi ha meravigliato. E infine, insieme a molte altre variabili, mi ha convinto a studiare psicologia.
I suoi libri sono certamente divulgativi, probabilmente a volte fanno l’occhiolino, usano il linguaggio abilmente e a volte si servono di questo per farci sentire molto piccoli oppure molto grandi davanti a ciò che non capiamo pienamente o non abbiamo mai osservato sotto una certa luce. E’ questo che forse fa arrabbiare o storcere il naso a molti. Ma questo è quello che capita di fare a ogni bel libro che ognuno incontri sulla propria strada, e perciò non mi sento di condannare Sacks se da scrittore ha ottenuto questo effetto.

‘Il racconto di storie e la creazione di miti sono attività umane primarie, un modo fondamentale per comprendere la realtà intorno a noi’.

Sacks sostiene che la prima attività capace di creare un vero apprendimento è la capacità di imitare (e questo la psicologia comportamentale lo sa bene), infatti, il primo modo per apprendere è imitare un modello, e provare e riprovare a imitarlo fino a che non si sarà assimilato il contenuto e si sarà riusciti a farlo nostro. Sacks riporta a questo proposito, le memorie di Susan Sontag, la quale ricorda che da bambina si esercitava a scrivere testi, articoli e brevi racconti cercando di imitare gli autori che di volta in volta scopriva e sentiva di ammirare. Questa attività di imitazione o di ‘mimetismo’ come scrive Merlin Donald, ‘è uno stadio fondamentale nell’evoluzione della cultura e della cognizione’, è un’inclinazione psicologica universale presente in ogni essere umano e anche in alcune specie animali (non a caso si usa dire ‘ripetere a pappagallo’ o ‘scimmiottare’).

La fase successiva di un processo creativo è quella determinante, ed è un tempo di pausa, di riflessione, di dimenticanza: allontanandosi da quanto letto, osservato, ascoltato, imparato, si lascia la possibilità all’esperienza di apprendimento di consolidarsi, di allacciarsi a qualcos’altro che magari neppure sapevamo ancora ipotizzare, lasciamo posto all’imprevisto, alla novità. Questo percorso appare evidente nei racconti del matematico Henri Poincarè o in quelli del musicista Wagner, riportati da Sacks: intuizioni, soluzioni brillanti che arrivano alla mente affiorando all’improvviso dopo un periodo di incubazione o distrazione, e lo fanno con una forza e un’originalità, che uno studio continuo e fitto non avrebbe saputo offrire. Sembra proprio che assimilare, osservare, fare proprio, e poi distrarsi, dedicarsi ad altro, per un po’ di tempo, siano la modalità più adatta per arrivare a intuizioni nuove e originali.

Appare piuttosto chiaro che la creatività scaturisce dalla capacità di osservare e assorbire in modo personale, nuovo e originale qualcosa che c’è già, in un’altra forma e un’altra sostanza, e l’incontro con il nostro proprio modo di vedere, di pensare, di sentire, riesca a trasformarla e a darle un nuovo significato che finora non c’era.

‘Il punto non è prendere in prestito, imitare, mancare di originalità, il punto è quello che si fa di ciò che è stato preso a prestito, quanto profondamente lo si assimila, lo si interiorizza e lo si mescola con esperienze, pensieri, sentimenti propri, in quale misura lo si mette in relazione con sé stessi e lo si esprime in modo nuovo, il proprio.’

Ora che le lunghe, lentissime e indolenti giornate di vacanze estive stanno per iniziare, ricordiamoci che le ore vuote stanno lì a dirci che è arrivato il momento di coltivare e curare quella parte profonda di noi stessi che per tanti mesi ha obbedito a regole, nozioni, date, cifre e appunti, è arrivato il momento di farle spazio, lasciarla vagare libera di creare qualcosa di nuovo, di più profondo e personale, e, chi può saperlo, magari dal grande valore creativo e originale.

 

Riferimenti bibliografici:

Il fiume della coscienza, di Oliver Sacks. Adelphi, 2018