L’autostima sfugge a definizioni chiare e definitive, così a volte ci troviamo a parlare e a inseguire qualcosa che non sappiamo bene come raccontare. Allora intanto provo a fare una panoramica per tracciare alcune coordinate e orientarsi meglio in qualcosa di così essenziale e sfuggente allo stesso tempo.

Una definizione semplice può essere: “un’immagine composita di ciò che pensiamo di essere, ciò che pensiamo di poter realizzare, ciò che pensiamo gli altri pensino di noi e ciò che vorremmo essere.” (Burns, 1979).

Dunque l’idea di sé costituisce l’immagine interna che abbiamo di noi stessi in ogni momento, questa immagine contiene le nostre caratteristiche fisiche, capacità, atteggiamenti e convinzioni.

L’autostima implica almeno tre aspetti:

– La presenza di un sistema che consente di auto-osservarsi e quindi di conoscersi.

– Un aspetto valutativo che permette un giudizio generale su se stessi.

– Un aspetto affettivo che permette di valutare e considerare in modo positivo o negativo gli elementi descrittivi.

William James concepisce l’autostima come il risultato scaturente dal confronto tra i successi che l’individuo ottiene realmente e le aspettative in merito ad essi.

Cooley e Mead, definiscono l’autostima come un prodotto che scaturisce dalle interazioni con gli altri, che si crea durante il corso della vita come una valutazione riflessa di ciò che le altre persone pensano di noi.

A costituire il processo di formazione dell’autostima vi sono due componenti: il sé reale e il sé ideale.

Il sé reale non è altro che una visione oggettiva delle proprie abilità, cioè corrisponde a ciò che noi realmente siamo.

Il sé ideale corrisponde a come l’individuo vorrebbe essere. L’autostima nasce per cui dai risultati delle nostre esperienze confrontati con le aspettative ideali.

Maggiore sarà la discrepanza tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere, minore sarà la stima di noi stessi.

La presenza di un sé ideale può essere uno stimolo alla crescita, in quanto induce a formulare degli obiettivi da raggiungere, ma può generare insoddisfazioni ed altre emozioni negative se lo si avverte molto distante da quello reale. Per ridurre questa discrepanza l’individuo può ridimensionare le proprie aspirazioni, e in tal modo avvicinare il sé ideale a quello percepito, oppure potrebbe cercare di migliorare il sé reale (Berti, Bombi, 2005).

Possedere un’alta autostima è il risultato di una limitata differenza tra il sé reale e il sé ideale. Significa saper riconoscere in maniera realistica di avere sia pregi che difetti, impegnarsi per migliorare le proprie debolezze, apprezzando i propri punti di forza. Tutto ciò enfatizza una maggiore apertura all’ambiente, una maggiore autonomia e una maggiore fiducia nelle proprie capacità.

Le persone con un’alta autostima dimostrano una maggiore perseveranza nel riuscire in un’attività che le appassiona o nel raggiungere un obiettivo a cui tengono e sono invece meno determinate in un ambito in cui hanno investito poco. Si tratta di persone più propense a relativizzare un insuccesso e ad impegnasi in nuove imprese che le aiutano a dimenticare.

Le persone con una bassa autostima invece, possono mostrare una ridotta partecipazione e uno scarso entusiasmo, demotivazione, disimpegno e disinteresse. Vengono riconosciute esclusivamente le proprie debolezze, mentre vengono trascurati i propri punti di forza. Spesso si tende a evadere anche dalle situazioni più banali per timore di un rifiuto da parte degli altri. Si è più vulnerabili e meno autonomi. Le persone con una bassa autostima si arrendono molto più facilmente quando si tratta di raggiungere un obiettivo, soprattutto se incontrano qualche difficoltà o sentono un parere contrario a ciò che pensano. Si tratta di persone che faticano ad abbandonare i sentimenti di delusione e di amarezza connessi allo sperimentare un insuccesso. Inoltre, di fronte alle critiche, sono molto sensibili all’intensità e alla durata del disagio provocato.

E’ importante capire in che modo ognuno di noi crea valutazioni positive o negative su se stesso. Possiamo dire che ci si valuta in base a tre processi fondamentali:

Assegnazione di giudizi da parte di altri, sia direttamente che indirettamente: mediante le opinioni comunicate da altri significativi noi ci autodefiniamo.

Confronto sociale: la persona si valuta confrontandosi con chi lo circonda e da questo confronto ne scaturisce una valutazione.

Processo di autosservazione: la persona può valutarsi anche autosservandosi e riconoscendo le differenze tra se stesso e gli altri.

Questo mostra in modo evidente in che modo la relazione con gli altri possa influenzare la propria autostima e il senso di sé, innalzandola oppure impoverendola.

L’autoefficacia

Con il termine autoefficacia (Bandura, 2000) si intende la fiducia nelle proprie capacità di escogitare le strategie che ci consentono di affrontare nel modo ottimale qualsiasi evenienza. E’ la convinzione di saper fare qualcosa e di poter influire sugli eventi della nostra vita. Il concetto di autoefficacia dipende da molte variabili, quali:

  • l’esito brillante di precedenti situazioni problematiche affrontate;
  • le esperienze vicarie, date dall’aver visto altri fronteggiare contesti situazionali difficoltosi ed esserne usciti vittoriosi;
  • le autoconvinzioni positive;
  • lo stato di benessere derivante dall’aver superato prove particolarmente impegnative;
  • la capacità di immaginarsi vincenti in esperienze gravose.

Dunque, anche il concetto di autoefficacia interviene nelle valutazioni che la persona compie su se stessa e che, in ultima analisi, definiscono la sua autostima.

Le distorsioni cognitive

Talvolta le autoanalisi che contribuiscono definire l’autostima di una persona sono falsate dalle sue distorsioni cognitive, ovvero da pensieri che inficiano la considerazione di sé.

 Le distorsioni cognitive (Beck, 1985) sono spesso rilevanti nei nostri ragionamenti, li influenzano e li trasformano:

  • Le inferenze cognitive, attraverso le quali gli individui maturano delle idee arbitrarie su se stessi senza l’avallo di dati reali e obiettivi;
  • Le astrazioni selettive, per mezzo delle quali un piccolo particolare negativo viene estrapolato, divenendo emblematico e rappresentativo del proprio modo di essere;
  • Le sovrageneralizzazioni, per cui si è portati a generalizzare partendo, per esempio, da un singolo tratto di personalità che contraddistingue un individuo o da un singolo episodio esperienziale che lo ha visto protagonista;
  • La massimizzazione, che consente di implementare gli effetti negativi di una singola azione svolta;
  • La minimizzazione, la quale permette di rimpicciolire la portata positiva di qualche evento;
  • La personalizzazione, che autorizza a sentirsi colpevole per qualche evento negativo accaduto;
  • Il pensiero dicotomico, che non ammette sfumature nell’ambito delle assunzioni di responsabilità, riconducendo l’analisi ai un ragionamento tutto o niente.

Autostima e attribuzioni causali

Le persone spesso cercano di spiegarsi un evento collegandolo ad una causa. Spesso si tende ad attribuire un successo raggiunto ad una causa esterna alla persona, quale potrebbe essere la fortuna, oppure ad una causa interna, per esempio la perseveranza.

Le attribuzioni possono essere distinte in base a tre dimensioni (Weiner, 1994):

  • Locus of control: ossia se la causa di un successo (o di un fallimento) è interna o esterna alla persona;
  • Stabilità: per cui le cause possono essere stabili o instabili nel tempo (per esempio la facilità del compito è stabile, al contrario la fortuna è instabile);
  • Controllabilità: non tutte le cause possono essere controllate dal soggetto;

Pare che l’attribuzione a cause stabili, controllabili e interne all’individuo abbia, in caso di raggiungimento di un successo, portino un innalzamento dell’autostima nell’individuo. L’ attribuzione a cause esterne a sé, invece, instabili e poco controllabili, portano ad un calo dell’autostima e della fiducia in se stessi.

Per concludere

L’autostima è qualcosa di molto sfaccettato che non si coltiva aggiungendo solo acqua e nutrimento in abbondanza, il troppo non aiuta, aiuta piuttosto la cura e la costanza di ciò che coltiviamo in noi stessi e nelle relazioni con gli altri, ci aiutano relazioni significative, un senso di coerenza tra ciò che siamo, che vogliamo essere e che mostriamo di essere agli altri, insieme all’immagine che gli altri si fanno di noi e ci rimandano con i loro comportamenti.

Coltivare la propria autostima o quella dei nostri bambini è un percorso costante che implica attenzione, pazienza e impegno, e non finisce mai.

Riferimenti bibliografici:

Laboratorio di autostima, D.H. Plummer, Erickson 2016

L’autoefficacia, A. Bandura, Il Mulino