La compassione è una sensibilità verso la sofferenza di noi stessi e degli altri (e le sue cause), unita a un profondo impegno nel tentare di alleviarla”. Il primo aspetto, dunque, è la possibilità di riconoscere la sofferenza (con sensibilità, empatia, senza giudizio), il secondo aspetto riguarda l’impegno per alleviare questo dolore. La compassione è fortemente connotata dal coraggio.
Cura e gentilezza
Nella pratica dell’autocompassione, le qualità di cura e gentilezza sono essenziali, quello che prima di tutto possiamo imparare a fare è come fare pratica di queste due qualità. Di fronte a un problema o a un dolore, è probabile che la nostra voce autocritica ci parli dicendo qualcosa come: “E’ difficile, fattene una ragione!” oppure: “E’ un bel problema! Te lo sei cercato, e ora lo risolvi!”. Queste frasi sono il modo con cui abbiamo imparato a trattare noi stessi di fronte alle difficoltà, nella convinzione che un po’ di durezza possa spronare all’azione, scuotendoci dall’immobilità. Tuttavia, se proviamo a pensarci bene, di fronte a un grande dolore o un grande problema, è assai improbabile che frasi di questo tipo abbiano saputo offrire una reale spinta a reagire e ad agire nel modo più adeguato e per noi soddisfacente. Il primo passo per essere compassionevoli con se stessi è riconoscere con autentica gentilezza e cura, la propria sofferenza, le difficoltà, la paura che ci blocca o ci fa scappare, e dire che è proprio così, in questo momento stiamo provando qualcosa di doloroso. Non esiste un modo giusto o sbagliato di procedere in questo percorso, a patto che sia fatto con autentica gentilezza e cura. Alcune frasi compassionevoli per riconoscere e accogliere quello che fa male, possono essere: “questo fa male”, “questo è davvero doloroso”, “sto notando la mia tristezza”, “sento la mia rabbia qui dentro”, “sto pensando di non valere niente”, “questo è per me un momento di forte sofferenza”.
Questo processo si muove verso l’autocompassione, imparando a osservare, con apertura e curiosità, i pensieri dolorosi, i sentimenti, le emozioni, le immagini, i ricordi che fanno male in questo momento, e utilizzando una voce gentile e comprensiva in grado di dirci che quello che stiamo provando è difficile e doloroso.
Interrompere il dialogo interiore critico e severo non sarà facile né immediato, gli abbiamo lasciato talmente tanto spazio, gli abbiamo creduto così a lungo, ci siamo aggrappati a esso convinti che servisse a qualcosa. Con l’autocompassione iniziamo a lasciare andare tutte queste parole critiche e giudicanti, un po’ per volta.
Possiamo iniziare a dire qualcosa come: “sono qui per te”, “voglio aiutarti”. Se abbiamo commesso qualche errore per cui ci stiamo rimproverando o vergognando, possiamo provare a dire qualcosa come: “può succedere di sbagliare”, “nessuno è perfetto”, “potrò imparare da questo, e fare meglio la prossima volta”, o ancora: “posso trattare me stesso con gentilezza” o anche soltanto: “tranquillo”, “gentilezza”.
Tutti soffrono, ognuno di noi è unito all’altro dall’esperienza della sofferenza che ci accomuna tutti, ma mentre soffriamo ci dimentichiamo di questa connessione con gli altri e anzi, ce ne allontaniamo, percependo spesso disconnessione e rifiuto, e aumentando così il nostro senso di sofferenza e vulnerabilità. Troppo spesso, quando soffriamo, invalidiamo la nostra esperienza emotiva, giudichiamo il nostro dolore come anormale o innaturale o insopportabile. Spesso ci raccontiamo che stiamo reagendo nel modo sbagliato, che c’è qualcosa che non va in noi, oppure ci diciamo che non è importante, che dobbiamo essere più forti e non lamentarci. Questo modo di parlarci è l’opposto della gentilezza compassionevole. La voce gentile e compassionevole potrebbe imparare a dirci qualcosa come: “è normale e naturale avere pensieri e sentimenti dolorosi quando c’è qualche problema o qualcosa che ci fa stare male, quando sbagliamo, quando ci sentiamo criticati o rifiutati. È normale a volte sentirsi così, non è colpa mia se sto provando questo dolore. Posso imparare a trattare me stesso con gentilezza anche quando sto soffrendo”.
La scrittura è da sempre anche un modo per stare in contatto col proprio dolore, per fare ordine dove c’è confusione, per tirare fuori quello che dentro fa male, e provare a renderlo meno doloroso. Lo psicologo americano James W. Pennebaker, attraverso i suoi studi, ha trovato forti correlazioni tra scrittura e benessere psicologico: scrivere il proprio dolore e le difficoltà di ogni giorno, può avere un effetto positivo sulla salute fisica e psicologica di ognuno.
Puoi approfondire gli studi di Pennebaker in questi articoli: Come iniziare a scrivere per migliorare la propria salute e Ogni volta che scrivi di te
Come scrivere una lettera compassionevole
Scrivere una lettera alla parte di sé che sta soffrendo, è un modo per esercitare le proprie abilità compassionevoli. Una lettera compassionevole segue prima di tutto questa traccia, ma potrà sempre modificarsi e adattarsi, potrà essere sempre più simile a come la desideriamo e sentiamo che è veramente la nostra lettera compassionevole:
- Esprime l’intento di aiutare, mantiene un tono non giudicante e un atteggiamento di cura genuino verso se stessi
- Dimostra sensibilità verso il proprio dolore e la propria sofferenza
- Aiuta a essere più tolleranti verso il proprio dolore e le proprie difficoltà
- Aiuta a comprendere i motivi delle proprie lotte interiori
Per iniziare a scrivere una lettera compassionevole occorrono alcuni accorgimenti:
- Un luogo calmo in cui sentirsi al sicuro
- Provare a usare la prima persona (io) e la seconda persona (tu), scegliendo quella che si sente più vicina
- La lettera non deve aspirare alla perfezione: la lettera è un modo per avvicinarsi a qualcosa che si sta combattendo e evitando, e aiuta a farlo con cura, comprensione e supporto che sono qualità compassionevoli
- Va bene tornare indietro e correggere la lettera, cercando di non perdersi nel tentativo di renderla “perfetta”
- Scrivendo, ricordarsi la voce che si sta usando e mantenere una voce calda, compassionevole, capace di comprensione
- Nel tempo è possibile trovare un proprio stile e scegliere quello, senza seguire altre indicazioni
- Potrebbe essere utile rileggere la lettera compassionevole ogni mese, o ogni settimana, oppure registrarla con un audio con voce calda e accogliente e riascoltarla ogni volta che si vuole.
Dieci passi per scrivere la propria lettera compassionevole
Passo 1: coinvolgere la mente compassionevole
Quando si inizia a scrivere la lettera, si inizia a connettersi con le qualità compassionevoli come l’impegno alla cura, la saggezza e la forza.
Passo 2: motivazione, perché sto scrivendo questa lettera?
A questo punto focalizzati con l’intenzione con la quale si sta scrivendo la lettera, facendo emergere il desiderio di compassione che si vuole esprimere nella lettera.
Passo 3: iniziare la lettera e identificare una difficoltà
L’inizio della lettera può essere, es. “Cara/caro me, oggi ho voglia di raccontarti qualcosa che in questo periodo ti fa soffrire, sei molto dura/o con te stesso, e vorrei che oggi mi ascoltassi con gentilezza…”, e a questo punto puoi provare a esporre il problema, il dolore, la difficoltà che vuoi affrontare nella lettera.
Passo 4: validazione e comprensione della lotta
Validare quello che stai provando è un passo fondamentale: es. “è comprensibile che tu ti senta così, oggi, quello che è successo è stato imprevedibile e ingiusto, e ora è normale che tu ti senta impaurita/o, hai sempre fatto del tuo meglio e quello che è successo non è colpa tua”…
Passo 5: comprendere i tentativi di gestire il sistema della minaccia (non è colpa tua)
Può essere utile sottolineare i vari tentativi fatti finora per gestire il dolore, gli atti protettivi usati per proteggersi dalla minaccia, e notare le conseguenze negative emerse da questo comportamento: es. “so che hai provato a gestire le preoccupazioni e l’ansia evitando di pensarci e bevendo un po’ troppo. E’ normale cercare un modo per gestire il dolore e non trovarne di buoni quando nessuno ti ha mai insegnato come si fa”.
Passo 6: assumersi la responsabilità
Pur riconoscendo che non abbiamo colpa, ci prendiamo la responsabilità di sviluppare nuove strategie per affrontare le difficoltà, connettendoci con le qualità di forza e saggezza: es. “attingi alla tua forza e saggezza per iniziare a pensare cosa ti piacerebbe fare e focalizzati sull’intenzione di gestire il dolore in un modo diverso”.
Passo 7: esplorare cosa può essere di aiuto (pensieri e azioni compassionevoli)
Una volta accettato che ho la responsabilità di migliorare, mi focalizzo su tutte le risorse disponibili che posso attivare.
Passo 8: lavorare con i blocchi, le difficoltà e gli ostacoli
Nella lettera è importante prevedere degli intoppi, qualcosa che non funziona subito, lo scoraggiamento, ecc. e proporre delle strategie per non perdere la direzione e la fiducia che il cambiamento, comunque, con impegno, arriverà.
Passo 9: impegno compassionevole per il cambiamento
L’ultimo passo della lettera è esplicitare il proprio impegno verso il processo di cambiamento con il proposito di sostenersi sempre verso la direzione scelta: es. “ricordati che sarò lì per aiutarti, inizia da un passo piccolo, e poi vai avanti, ricordati che non sei solo/a”.
Passo 10: lettura compassionevole
Adesso leggi la tua lettera. A voce alta oppure no. Con una voce compassionevole, un tono caldo e premuroso. Lentamente, sentendo le parole in profondità, cogliendone tutte le intenzioni e le sfumature.
“Le persone più belle che abbiamo incontrato sono quelle che hanno conosciuto la sconfitta, la sofferenza, la lotta, la perdita, e hanno trovato la loro via di uscita dall’abisso. Queste persone hanno un senso di gratitudine, una sensibilità e una comprensione della vita che le riempie di compassione, dolcezza e una profonda e amorevole attenzione al dolore. Le persone belle non accadono e basta”.
(E. Kubler-Ross)
Riferimenti bibliografici:
Il quaderno della compassione, di E. Beaumont e C. Irons, ed. MindHelp Giovanni Fioriti Editore, 2022