Ognuno impara cos’è l’amore nel modo in cui può, lo interpreta, lo cerca, lo offre, lo riconosce o lo confonde secondo la propria storia affettiva. Qualcuno cerca nell’amore la fusione, chi la sicurezza, chi la conferma, chi la libertà. Quello che chiediamo all’amore spesso racconta più di noi che della relazione stessa.
Nella stanza di terapia non si trovano risposte a questa domanda a cui cerchiamo di dare risposte da secoli, attraverso forme d’arte, attraverso l’esperienza e pure con ricerche scientifiche. Nella stanza di terapia non ci sono definizioni per tutti, etichette, o regole per stabilire quale sia una relazione ideale, ancora meno se un amore sia un amore ‘vero’ o ‘tossico’, parlare di ‘amore tossico’ è un modo come tanti per puntare il dito verso l’altro, identificare fuori da sé il pericolo e la minaccia, per non guardare dentro di sé, che cosa ci spinge verso di essa, non permettendoci così di imparare un altro modo di stare in relazione ma, nella migliore delle possibilità, creare un nuovo allarme per fuggire o credere di fuggire dal dolore, e innescare e perpetrare il circolo della resa, della fuga e dell’abbandono.
Nella stanza di terapia, dove spesso cerchiamo rifugio e protezione dalle relazioni che ci feriscono, impariamo prima di tutto che nessuno di noi può cambiare l’altro o gli altri che ci feriscono, ma ognuno di noi può cambiare sé stesso e modificare il modo in cui l’altro può farci male, imparando a mettere dei confini sani, imparando che possiamo reagire in un modo diverso al dolore sempre nuovo che arriva da fuori, e prendendoci cura del dolore antico che abbiamo dentro.
Nella stanza di terapia possiamo imparare a riconoscere e costruire relazioni sane, fondate non sul dolore, sulla mancanza o sulla paura, ma sulla sicurezza, qualunque cosa sia l’amore e qualunque cosa chiediamo a esso.
Imparare a scegliere e costruire legami sani e autentici significa imparare a leggere dentro di sé: riconoscere i propri bisogni inascoltati, le paure, i modelli relazionali che si ripetono. Comprendere l’amore diventa allora un percorso di consapevolezza e di crescita interiore, più che un traguardo da raggiungere.
La chimica degli schemi
Dentro ognuno di noi c’è una dimensione che custodisce i bisogni emotivi fondamentali (sicurezza, accettazione, affetto, comprensione, autonomia, spontaneità). Quando questi bisogni non vengono riconosciuti, la mente costruisce strategie per sopravvivere: il bambino che non è stato visto può diventare l’adulto che cerca costantemente conferme. Chi ha imparato a farsi carico degli altri può diventare l’adulto che si perde nelle relazioni, per paura di non essere amato. Così, senza accorgercene, finiamo per scegliere partner che rispecchiano l’ambiente emotivo originario: persone distaccate, svalutanti o imprevedibili, che riattivano lo schema conosciuto. Incontriamo relazioni che riattivano quella ferita, nella speranza di poterla finalmente sanare. Il paradosso è che questa ricerca ci riporta proprio dove siamo stati feriti. Così, chi porta dentro di sé uno schema di abbandono tenderà ad essere attratto da persone instabili o non disponibili; chi vive uno schema di deprivazione emotiva si sentirà “a casa” accanto a chi non sa accogliere; chi lotta con uno schema di inadeguatezza potrà restare intrappolato in relazioni critiche o svalutanti.
In Schema Therapy questo fenomeno è chiamato chimica degli schemi: quella “forza magnetica” che non nasce dal caso, ma dalla ripetizione di antichi copioni emotivi. La relazione diventa il luogo in cui si riattivano vecchie ferite, un tentativo, spesso doloroso, di ottenere oggi ciò che non abbiamo ricevuto ieri.
Le strategie sviluppate nel tempo per compensare il vuoto dei bisogni inascoltati o invalidati, da adulti diventano quelli che chiamiamo schemi maladattivi precoci: convinzioni e pattern emotivo-comportamentali che determinano il modo in cui vediamo noi stessi, gli altri e il mondo. Non si tratta di semplici “modelli mentali”, ma di veri e propri sistemi affettivi appresi che si attivano soprattutto in contesti di intimità.
Il sistema emotivo riconosce come familiari dinamiche che un tempo erano disfunzionali, e scambia quella familiarità per amore.
Il compito terapeutico è riconoscere e dare voce ai bisogni inascoltati, e rafforzare l’adulto sano, quella parte della mente capace di contenere, proteggere e scegliere la sicurezza.
Attraverso la relazione terapeutica si può sperimentare per la prima volta cosa significa essere visti, ascoltati e accolti. Da qui inizia la vera riparazione e la costruzione di nuove risposte interne.
Una mappa interiore dei legami
Fin dai primi anni di vita, il modo in cui veniamo accuditi costruisce nel nostro cervello un modello interno di come funziona l’amore: se possiamo fidarci, se l’altro sarà presente, se siamo degni di essere amati. Se questi bisogni non sono stati soddisfatti, resta accesa una parte che continua a chiedere ciò che un tempo è stato negato: cura, protezione, accettazione, libertà di essere se stessi.
Secondo Bowlby, i legami primari creano una sorta di mappa interna (un modello operativo) che ci dice come funziona l’amore, quanto possiamo fidarci, se siamo degni di cura o se dobbiamo conquistarla.
Un attaccamento sicuro permette di esplorare e di legarsi senza paura di perdere sé stessi. Un attaccamento insicuro, invece, ci porta a oscillare tra la paura di essere abbandonati e il bisogno di difenderci dalla vicinanza.
John Bowlby ha mostrato che il bisogno di attaccamento è una motivazione biologica primaria. Le prime relazioni con i caregivers costruiscono una mappa interna della sicurezza, un modello operativo che guida le aspettative su disponibilità, prevedibilità e accoglienza affettiva.
Mary Ainsworth descrisse stili osservabili di attaccamento (sicuro, ansioso, evitante), successivamente la ricerca ha evidenziato anche la variante disorganizzata. Questi stili non sono etichette ma descrizioni di come il sistema affettivo si è calibrato nel tempo e ha trovato un suo equilibrio:
• Attaccamento sicuro: esplorazione sostenuta dalla fiducia nel ritorno al porto;
• Attaccamento ansioso: iperattivazione del sistema di attaccamento, ricerca di conferme e timore della perdita;
• Attaccamento evitante: strategia di deattivazione: distanza emotiva come protezione dalla frustrazione.
Il sistema di attaccamento modula percezioni, ricordi e persino ciò che troviamo attraente. Il lavoro trasformativo consiste nel creare nuove esperienze relazionali, innanzitutto nel contesto del percorso: relazioni riparative che consentano di sperimentare coerenza, accoglienza e confini. Gradualmente, queste esperienze costruiscono una base sicura interna: non una garanzia rispetto al comportamento altrui, ma una maggiore capacità di regolare, tornare a sé e scegliere in modo consapevole.
Un attaccamento sicuro ci permette di esplorare e di legarci senza paura. Un attaccamento insicuro ci fa oscillare tra il bisogno di fusione e la paura dell’abbandono, tra il desiderio di vicinanza e la fuga dal contatto emotivo. Chi ha sperimentato un attaccamento sicuro tende a percepire l’amore come uno spazio di conforto e libertà. Chi invece ha vissuto un attaccamento insicuro oscilla tra il desiderio di fusione e la paura dell’abbandono, oppure tra il bisogno di vicinanza e la fuga dal contatto emotivo.
Comprendere il proprio stile di attaccamento, e il suo legame con gli schemi maladattivi, non serve a classificare, ma a creare nuove esperienze di sicurezza. La crescita emotiva non consiste nel trovare la persona giusta, ma nel diventare una mente capace di relazioni più stabili. Imparare ad amare, in fondo, è un percorso attraverso il quale reimparare a fidarsi.
Costruire sicurezza
La Compassion Focused Therapy di Paul Gilbert integra e arricchisce questo quadro offrendo strumenti per regolare il sistema emotivo. Il punto di partenza è semplice ma radicale: molte persone convivono con un dialogo interno severo e svalutante che mantiene attivo il sistema di minaccia (vergogna, autocritica, ansia). La compassione non è indulgenza, è pratica regolatoria, un modo di rispondere a sé con calore, coraggio e pragmatismo.
Nel contesto relazionale, la pratica della compassione consente di distinguere un’emozione attuale dalla riattivazione di un copione passato e di rispondere con l’adulto sano: presenza, confini chiari, cura autentica. La compassione insegna a stare accanto al proprio dolore senza esserne inghiottiti, e a offrire all’altro una presenza che non pretende di guarire ma può sostenere.
Spesso confondiamo l’intensità con la connessione, la tensione e la paura con la passione. Scambiamo la calma e la sicurezza con la noia, ma la noia non è assenza di emozione, è presenza senza paura. Imparare a distinguere tra attrazione che riattiva vecchie ferite e connessione che nutre, significa passare dalla ripetizione del passato alla scelta consapevole.
Una mappa comprensibile per viaggiare sicuri
Entrare in relazione con un’altra persona è come intraprendere un viaggio verso una terra sconosciuta. All’inizio tutto parla di scoperta: i paesaggi emotivi, le consuetudini affettive, il modo in cui l’altro si esprime, quello che pensa, quello di cui ha paura, quello che desidera o di cui ha bisogno. Conoscere un nuovo mondo non significa colonizzarlo, né lasciarsi colonizzare. Significa imparare la lingua dell’altro senza dimenticare la propria.
Quando l’amore diventa fusione, perdiamo la capacità di orientamento: smettiamo di distinguere dove finiamo noi e dove inizia l’altro.
Quando invece ci difendiamo troppo, chiudendoci dietro le mura della nostra autonomia, il viaggio si ferma prima ancora di cominciare. Amare, allora, è un equilibrio sottile tra apertura e confine: un incontro tra civiltà che si conoscono e si rispettano.
Possiamo lasciarci cambiare dal contatto, ma senza rinunciare alla nostra forma. È così che due mondi, invece di distruggersi, imparano a coesistere, creando una nuova geografia comune.
Solo chi ha un posto sicuro dove tornare, può davvero partire per incontrare l’altro, senza perdersi.
Se vuoi approfondire, puoi leggere questo: https://dariatinagli.it/un-amore-felice-e-possibile/
Riferimenti bibliografici:
• John Bowlby (1988). Una base sicura. Raffaello Cortina.
• Mary Ainsworth et al. (1978). Patterns of Attachment. Lawrence Erlbaum.
• Jeffrey Young, Janet Klosko, Marjorie Weishaar (2003). Schema Therapy. Guilford Press.
• Paul Gilbert (2010). The Compassionate Mind. Constable & Robinson.



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