Una delle potenti illusioni che viene costruita nella vita di tutti i giorni nella nostra cultura è che tutto il dolore è una negazione del valore, che i veri prescelti, le vere persone di valore, sono le persone che sono più libere dal dolore”.

Si esprime così Bell Hooks in un’intervista di qualche anno fa.
In questi anni la nostra cultura ha creato sempre nuove strategie per evitare il dolore, per imbellettarlo, per distorcerlo e dunque, non sentirlo e non accettarlo per quello che è: parte centrale e inevitabile di ogni nostra esperienza.
Quando ci convinciamo di dover estirpare il dolore dalla nostra esperienza per vivere una vita piena e appagante, iniziamo a comportarci in modo tale da ridurre o eliminare le emozioni negative o i pensieri che ci disturbano, convinti di dirigerci così verso una vita fatta solo di cose buone e positive, coerenti con la nostra idea di benessere e felicità.
Quando identifichiamo pensieri e emozioni dolorose come disturbi o problemi da risolvere, iniziamo a trattarli in modo logico e apparentemente razionale per sbarazzarcene. Iniziamo uno sforzo costante per decifrare quello che non va, identificarlo e poi risolverlo e trasformarlo per non sentirne più il peso, convinti che questo ci porterà a essere più leggeri, più liberi, forse più risolti e dunque felici.
Da sempre siamo convinti che i problemi esistano per essere risolti attraverso azioni logiche. Se non ti piace la cucina sporca inizia a pulire! Se non sei soddisfatto dei tuoi capelli tagliali! Abbiamo infinite strategie di controllo da attivare per ogni problema possibile.
Ma queste strategie di controllo, se pure già zoppicano nella soluzione di problemi concreti, sono del tutto inutili quando il problema non è fuori ma è dentro, sotto la nostra pelle.
Quando questo controllo vuole iniziare a gestire le nostre emozioni, i nostri pensieri e le nostre sensazioni ci mostra tutta la sua fragilità, e insieme inizia a mettere in luce la nostra stessa vulnerabilità che è proprio quella che cerchiamo di non vedere e non sentire.
Il dolore causato dalla lotta ingaggiata ogni giorno per non sentire il dolore stesso, si aggiunge a quel dolore naturale che è insito nella vita di ognuno.

Vivere la nostra vita con lo scopo di sentirsi bene è diverso dal vivere al servizio dei propri valori più radicati.

Fare quello che per noi è importante e nel modo che per noi ha valore, può essere doloroso e renderci vulnerabili, perché prendersi cura, agire con attenzione e apertura, rivela quel punto in cui possiamo essere feriti e dove lo siamo stati.

Vivere una vita nella ricerca di benessere e nel costante tentativo di evitare il dolore ci può allontanare da quello in cui crediamo e da quello che desideriamo nel tentativo di controllare e sbarazzarci di una vulnerabilità percepita come pericolosa.

L’accettazione (o disponibilità) è essere aperti all’interezza della propria esperienza e allo stesso tempo è scegliere in modo attivo e intenzionale di muoversi verso i propri valori.
La disponibilità è un’azione fatta di qualità tutto o nulla. È come un salto. Affinché un’azione sia un salto, dobbiamo per un momento non avere i piedi piantati per terra.
La disponibilità è un processo continuo, una scelta continua che non prevede attesa, l’accettazione non è rassegnazione ma anzi, è la capacità e possibilità di abbracciare e ricevere ciò che viene offerto, smettere di giudicare le esperienze come buone o cattive, lasciare andare le categorie che di solito usiamo per non sentire le sensazioni spiacevoli e a volte persino quelle piacevoli.

Concentrati come siamo nell’evitare di sentire troppo male, finiamo forse per non sentire più niente.

 

Riferimenti bibliografici:

Il manuale del terapeuta ACT, apprendere e allenare le abilità dell’Acceptance and Commitment Therapy, di J.B. Luoma, S.C. Hayes, R.D. Walser. Ed. G. Fioriti (2019)

 

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