Mi capita spesso di partecipare a incontri o gruppi di lettura a tema, oppure di discutere di libri per bambini e ragazzi con qualche genitore interessato, con le amiche, con librai, con insegnanti.
Ci ho messo un po’ a capire che cos’era quello che non tornava, che non mi era chiaro, che trovavo fuorviante in alcune conversazioni.
Ma ora lo so.
Quello che stona a volte in certe discussioni sui libri e sulla letteratura, soprattutto credo quella rivolta a bambini e ragazzi, è la convinzione sottesa che leggere debba servire a qualcosa.
Intendiamoci, non voglio fare la provocatrice, dire che la cultura non serva o che leggere non sia importante.
Quello che voglio contestare è il valore utilitaristico che talvolta tendiamo a dare alla letteratura o all’atto di leggere.
E’ innegabile che leggere possa ‘fare bene’, ci sono studi specifici che ci dicono in che modo leggere fin dai primi giorni faccia bene allo sviluppo cerebrale, linguistico e affettivo del bambino, come possa rafforzare il legame genitore bambino, e sostenere lo sviluppo di una grande varietà di abilità nel bambino. Tutte queste cose sono da me sottolineate durante gli incontri sull’argomento.
Eppure, non è questo il fulcro centrale della lettura.
La letteratura non può e non deve veicolare in modo specifico dei valori o dei temi. La letteratura non insegna a essere più buoni, più generosi, più coraggiosi, insomma migliori.
A volte per spiegare questo concetto si usa la metafora dei ‘libri medicina’, come un’aspirina da banco per curare qualche acciacco, cioè quei libri che vanno dritti a affrontare un certo problema e lo prendono di petto, e ‘libri vitamina’, come appunto quei libri che siano idee, spunti, supporto per crescere. Io, è abbastanza evidente, sto con i ‘libri vitamina’!
Scrive Giovanna Zoboli (editrice di Topipittori):
“La letteratura è talmente lontana per me da un concetto di utilità, nell’accezione comune del termine, che non capisco quasi cosa voglia dire “libro sull’amicizia” se non in un senso così vago e generico da apparire immediatamente noiosissimo. La letteratura si riconosce infatti da una cosa, fra tutte: la mancanza di genericità (o non è letteratura). La letteratura è l’antigenerico per eccellenza: nasce da un tipo di atti, gesti, scelte, studi, passioni, volontà, stratificazioni di cause e ragioni di tale complessità e concretezza da fare piazza pulita di qualsiasi luogo comune.”
Dovremmo provare ad avvicinare bambini e ragazzi alla lettura con la consapevolezza che non serva a niente, che non debba servire a niente, che non possa sostituirsi a niente. Dovremmo dire a bambini e ragazzi che leggere non li renderà migliori, più forti, più interessanti, ma se proprio potrà fare qualcosa, li avvicinerà un po’ di più alla verità che stanno cercando e proverà a renderli un po’ più felici. Tutto qui. Ognuno a suo modo. Ogni volta in modo diverso, sfaccettato, complesso. Un libro è la possibilità di conoscere meglio se stessi e gli altri, in modo personale e sempre nuovo, così come può accadere con qualsiasi altra esperienza attraversata in modo profondo e soggettivo. Dimenticare questo è impoverire la letteratura, è distorcerla, è maltrattarla.
Questo dice Alessia Napolitano (libraia appassionata della magica libreria Radice Labirinto di Carpi) a Maria Polita (ideatrice e curatrice del bellissimo sito di letteratura per l’infanzia Scaffale Basso) in un’intervista che potete trovare qui: http://www.scaffalebasso.it/intervista-alessia-napolitano-radice-labirinto/
“Leggendo fiabe non si deve per forza crescere. La fiaba insegna ad ascoltare e ad ascoltarsi, dopo di che quel che ognuno prenderà non si può mai sapere. Caricare le fiabe di un potere catartico o iniziatico a priori vuol dire togliere a chi ascolta il dono primo che una fiaba ci concede: la libertà di attraversarla ogni volta in modo differente.”
Scrivo questo ben conoscendo quel filone psicologico che si chiama Narrativa psicologicamente orientata, un settore che potrebbe avere un grande valore, se solo fosse declinato diversamente e partisse da presupposti diversi.
Insomma, insegniamo il valore della lettura, l’immensa ricchezza che ha in sé, così com’è, e lasciamo liberi bambini e ragazzi di esplorarla e farla propria, senza etichette, senza messaggi. Leggiamo loro libri fin da piccoli ricordandoci che, come dice Alessia Napolitano:
“Il narratore non deve insegnare nulla, deve solo prestare la voce alle parole della fiaba. Narrare per me significa scegliere con cura le parole o lasciare che le parole scelgano me, dipende. Narrare è restare me stessa, sentirmi quieta, non scandagliare il mio animo né di chi ho davanti. Raccontare è ricerca e studio, per poi dimenticarsene. Narrare è poter dare al futuro un cuore intelligente“.