Ora che le guardo tutte insieme, le mie letture di questo mese, mi appaiono soprattutto coerenti, nel contenuto, e in un certo senso ‘democratiche’, perché sono quattro autori italiani, due autrici e due autori, e sono autori di oggi e di ieri. Soprattutto sono letture coerenti con il mio modo di sentire e quindi di cercare quel pezzetto di filo in più da dipanare. Il tempo che passa serve anche a questo, a imparare a scegliere i libri che si vogliono leggere.

Ognuno di questi romanzi attraversa uno di quei periodi di mezzo della vita: l’infanzia, l’adolescenza e la prima maturità. In ognuno di questi libri c’è un tentativo di ritrovare quel punto in cui la vita, e a volte il mondo intorno, hanno iniziato ad avere un suono diverso e un altro rumore. Quel momento in cui qualcosa, forse, ci ha voltato le spalle, e noi siamo ancora qui a chiederci se lo stiamo guardando dal verso giusto oppure no.

Sono libri che attraversano il passato, ma lo fanno senza nostalgia, senza rimpianto, senza disprezzo, e senza alcuna forma di compiacimento. Attraversano il passato cioè come solo un vero romanzo può fare: con onestà, cercando di rintracciare pezzetti di realtà. Perché il passato è quello che è. E’ quello che ci ha condotto a questo presente, che ci piaccia o no. Come scrive Lalla Romano nella sua postfazione: “Quel mondo non è perduto. E’ vero che è passato, irrevocabilmente, ma il suo pregio io lo sento ora, vale a dire lo comprendo, lo amo, infine lo posseggo“.

Queste letture sono state il mio lusso di marzo, il tempo per guardarmi dentro, attraverso altri occhi e altre parole dalle mie, senza mai smettere di guardare fuori, con un po’ di curiosità e molta voglia di appartenere al tutto e prenderne parte.

 

Riporto qui di seguito alcuni brani nei quali credo di aver intravisto pezzetti di realtà.

 

Raccontami la notte in cui sono nato, di Paolo Di Paolo (ed. Feltrinelli, prima edizione 2008)

Penserai che spesso viene da chiedersi: ma perché sono qui, perché mai sono nato – e nato così. Un giorno, quasi distrattamente, ti verrà da chiederlo, a tua madre: ma’ mi racconti di quando sono nato? Non sai se lo hai chiesto più con tenerezza o con rabbia, o con tutt’ e due. Lei sorriderà, non si aspettava questa domanda, o forse sì, se l’aspettava da sempre. E allora ti racconterà chi era lei quando tu non c’eri ancora, e come sono andate le cose quando hai deciso che dovevi arrivare. Tu immaginerai tua mamma con la pancia tonda, e quel giorno di giugno in cui prima non c’eri e poi sì. Per qualche minuto o una vita ti scorderai di questa storia. Non la saprai più. Vivere è dimenticarsi di essere nati e perché.”

La penombra che abbiamo attraversato, di Lalla Romano (ed. Einaudi, prima edizione 1964)

“Ascoltavo. Dalla caserma dietro casa arrivava un suono lungo, lacerante e dolce: il silenzio. Era un addio, il saluto senza speranza a qualcuno da cui si era separati per sempre. Dopo, riprendeva lo scroscio sempre uguale del Cant. Avvolgente, fluente: senza principio né fine. Quel suono mi era necessario, non avrei potuto addormentarmi senza udirlo.  Infine c’era un suono, segreto, quasi impercettibile. Nasceva tra l’orecchio e il guanciale; scorreva distinto, esilissimo, remoto. Io lo chiamavo tra me ‘i violini’.”

Dietro la porta, di Giorgio Bassani (ed. Feltrinelli, prima edizione 1964)

“Sono stato molte volte infelice, nella mia vita, da bambino, da ragazzo, da giovane, da uomo fatto; molte volte, se ci ripenso, ho toccato il fondo della disperazione. Ricordo tuttavia pochi periodi più neri, per me, dei mesi di scuola fra l’ottobre del 1929 e il giugno del ’30, quando facevo la prima liceo. Gli anni trascorsi da allora non sono in fondo serviti a niente: non sono riusciti a medicare un dolore che è rimasto là come una ferita segreta, sanguinante in segreto.”

Gli anni al contrario, di Nadia Terranova (ed. Einaudi, prima edizione 2015)

“Dopo cena, a letto, parlarono un po’. Nessuno dei due aveva il coraggio di ammettere la solitudine: la casa, per quanto in miniatura, certi giorni sembrava fin troppo grande e vuota. Si erano aspettati che diventasse un’alcova, un punto di ritrovo, come era stata per Giovanni la sede del movimento, invece Gipo era ripartito subito e i vecchi compagni non avevano ancora preso l’abitudine di andare a trovarli. Aurora e la sua pancia, del resto, potevano muoversi pochissimo. Sembrava che tutto accadesse sempre da un’altra parte. -Non dobbiamo chiuderci,- le ricordò Giovanni, – la famiglia è solo parte di un progetto più grande.”