Si parla tanto di bullismo, un po’ dappertutto, in televisione, sul giornale, a scuola, in famiglia, al bar. L’ impressione è che a volte si chiami bullismo qualcosa che bullismo non è, e che altre volte ancora si additino colpevoli e responsabili a caso e un po’ a caso si cerchino soluzioni e ricette per arginare ‘il fenomeno’, un modo di etichettare una realtà complessa che proprio non mi piace.

Così ho pensato che potesse essere utile cercare di fare una panoramica di parole e concetti chiave utili per parlarne in modo un po’ più consapevole e cercare delle strade percorribili da chiunque ne sia coinvolto (secondo me, tutti, proprio tutti). Insomma, una panoramica sulle definizioni, i concetti coinvolti e gli aspetti relazionali,  emotivi e psicologici più rilevanti da prendere in considerazione quando si parla di bullismo, perché non basta parlarne ma occorre parlarne con le parole adatte.

Per iniziare, qualche definizione: 

Che cos’è il bullismo

Il bullismo è un tipo particolare di aggressività composto da caratteristiche comportamentali e relazionali.
Il comportamento che caratterizza il bullismo è composto da aggressività proattiva contraddistinta da una serie di azioni negative, ripetute, protratte nel tempo, che hanno lo scopo di provocare intenzionalmente danni fisici o psicologici a una o a più persone (Olweus, 1973).
Il bullismo dunque è diverso dai normali conflitti aggressivi e/o violenti tra coetanei, perché il bullo prova piacere nel causare un danno alla vittima, nell’esercitare il suo potere e la sua prevaricazione fisica e verbale, manca quindi di compassione.

Per parlare di bullismo è necessario che siano presenti queste condizioni:

asimmetria: bullo e vittima differiscono per forza fisica e controllo della situazione.
intenzionalità: c’è l’intenzione da parte del bullo di creare il danno alla vittima.
sistematicità: le prevaricazioni sono protratte nel tempo in maniera continuativa.

Il bullo: caratteristiche specifiche

Il bullo si caratterizza per un modello di reazione aggressiva associato alla forza fisica, è spesso impulsivo, desidera dominare gli altri e mostra scarsa empatia verso le vittime. Il bullo mira a raggiungere i propri obiettivi a scapito degli altri (Olweus, 1996). Il bullo agisce all’interno di un contesto, i protagonisti delle sue azioni sono diversi, infatti il bullismo può essere un processo di gruppo che coinvolge, oltre ai bulli e alle vittime, anche gli altri coetanei che possono assumere il ruolo di assistenti dei bulli (bulli passivi), di difensori delle vittime e di spettatori (Menesini, Ciucci, Tomada, Fonzi, 1999).

I bystanders: chi sono e che ruolo hanno

Coloro che non sono direttamente coinvolti negli atti di bullismo o cyber-bullismo, vengono definiti in inglese bystanders.
Gli atteggiamenti degli spettatori di bullismo e cyberbullismo possono influenzare in modo determinante entrambi i processi di prevaricazione: essi possono aiutare e fare in modo di interrompere gli atti di bullismo/cyberbullismo, possono aiutare la vittima a fronteggiare determinate situazioni, o, dall’altra parte, possono incrementare la gravità degli attacchi supportando l’operato dei bulli (Hawkins, Pepler & Craing, 2001; Salmivalli, 2010).

Dal punto di vista psicosociale i difensori della vittima risultano dotati di buone capacità di comprensione delle situazioni e delle dinamiche sociali ed in grado di cogliere e condividere empaticamente le emozioni dell’altro (Caravita, Di Blasio, Salmivalli, 2009; Gini, albiero, Benelli, Altoè, 2007), dimostrando di avere abilità di coping adattive e una buona sicurezza di sé nella messa in atto delle condotte prosociali. Essi risultano, inoltre, ben inseriti nel gruppo classe e benaccetti dai compagni (Salmivalli, Lagerspetz et al., 1996).

Quest’ultima caratteristica rappresenta un fattore fondamentale in grado di indurre gli studenti moralmente più sensibili a prendere le difese dei compagni prevaricati affrontando gli autori delle prepotenze. Quando si è bene inseriti e benvoluti dai compagni, infatti, è più probabile che l’avere buone competenze cognitive ed essere empatici sia correlato alla difesa del compagno vittimizzato (Caravita, Di Blasio et al., 2009; Caravita, Di Blasio, Salmivalli, 2010). Molto probabilmente, il coraggio che i difensori delle vittime dimostrano, opponendosi ai prevaricatori, nasce proprio dal sentirsi protetti e benaccetti dall’intero gruppo (Juvonene, Galvan, 2008).

 

Aspetti emotivi e affettivi nel bullismo

Aggressività e vita di gruppo

I soggetti aggressivi molto spesso non sono accettati dai pari, l’accettazione sociale e la popolarità sono correlate all’altruismo, alla conformità alle regole, all’amicizia, al comportamento prosociale e all’empatia. Il rifiuto sociale invece è correlato all’aggressività, al mancato rispetto delle regole e al comportamento sociale inappropriato.
La letteratura sul bullismo e sull’aggressività suggerisce che i bulli siano carenti su cognizioni, emozioni e comportamenti riguardanti argomenti etici e morali. In particolare sembra che i bulli siano adeguati nella competenza di un giudizio morale e sulla sua comprensione, ma falliscono nella capacità di provare empatia e compassione (Gini, Pozzoli, & Hauser, 2010).

La regolazione emotiva

Eisenberg (2000) sottolinea che non solo la conoscenza, ma anche l’utilizzo di adeguati processi di regolazione emotiva possono costituire aspetti importanti per lo sviluppo del comportamento sociale, in particolare, un controllo emotivo carente può generare un numero più elevato di fallimenti negli scambi con gli altri.
L’abilità di comprensione e di regolazione delle emozioni si evolve attraverso un processo di condivisione di esperienze emotive anche in un contesto come quello familiare: da uno studio di Camras (Camras et al. 1990) è emerso che i bambini a alto rischio presentano una bassa capacità di espressione lessicale delle emozioni (alessitimia), in particolare sono carenti nella capacità di espressione verbale delle emozioni negative, facendo ipotizzare che la capacità di regolazione emotiva e una adeguata interazione sociale sono strettamente collegate.

L’empatia

L’empatia è la capacità di comprendere e sentire gli stati emotivi altrui (Batson, 2006), essa include una componente cognitiva, cioè l’abilità di comprendere la situazione emotiva ed acquisire il punto di vista dell’altro, e una componente affettiva, come l’abilità di fare esperienza indiretta delle emozioni di un’altra persona (Davis, 1994; Hoffman, 2001). Entrambe le dimensioni correlano positivamente con i comportamenti prosociali e di difesa nel bullismo (Van Noorden, Haselager, Cillessen & Bukowski, 2014).
Riguardo i (cyber)standers, l’empatia sembra essere uno dei fattori protettivi che può contrastare i comportamenti negativi, conducendo ad un aumento dei comportamenti prosociali come supportare attivamente le vittime (Pfetsch, 2016).

La resilienza

La resilienza è la capacità che una persona ha di reagire in modo positivo e efficace di fronte a situazioni avverse (Luthar, Cicchetti, & Becker, 2000). Molti autori sono concordi nel ritenere che la resilienza non è un tratto personale ma è una capacità che può svilupparsi nel tempo in contesti caratterizzati da relazioni positive con i membri della propria famiglia e con i pari (Egeland, Carlson, & Sroufe, 1993; Luthar, 2003; Rutter, 1999).
Garmezy (1985) è stato uno dei primi studiosi a riconoscere l’importanza di relazioni positive, dentro e fuori dal contesto familiare, come fattore capace di sviluppare resilienza.

Egli distingue tre basilari fonti protettive:
caratteristiche individuali: come una alta autostima e l’autonomia,
 caratteristiche dell’ambiente familiare: relazioni positive con i familiari, caratterizzate da calore, armonia e assenza di conflitti,
caratteristiche del gruppo: rapporti con i pari caratterizzati da fiducia, supporto, assenza di conflitti.

Il supporto famigliare come fattore protettivo

I soggetti vittime di bullismo, sono predisposti in misura minore di altre vittime agli effetti negativi delle violenze dei bulli (cioè mostrano livelli minori di depressione e delinquenza), se la loro famiglia di origine è caratterizzata da un basso livello conflittuale (Sapouna e Worke, 2013). Molti studi recenti hanno trovato elementi a supporto dell’ipotesi che un ambiente familiare positivo e accogliente sia un fattore protettivo dal bullismo e sia un fattore capace di sviluppare un certo grado di resilienza nelle vittime di bullismo (Bowes et al. 2010).
Il meccanismo attraverso il quale la relazione familiare divenga protettiva verso gli effetti negativi del bullismo non è ancora chiaro, ma sembra che un buon supporto familiare e sociale sia in grado di promuovere una buona autostima e sia in grado di suscitare sentimenti positivi nelle relazioni con gli altri e che questo faccia sentire alla persona stessa di poter concretamente affrontare in modo efficace una situazione difficile come potrebbe essere il bullismo (Burton, Stice, & Seeley, 2004). Dunque un clima familiare positivo è utile per rilevare un possibile fattore di stress come il bullismo e a fornire alla persona gli strumenti necessari per affrontare con successo un’esperienza stressante (Bowes et al. 2010).

Le vittime di bullismo sperimentano frequentemente alti livelli di depressione e di ansia, tuttavia una parte delle vittime mostra una maggiore resilienza, questi soggetti si contraddistinguono dagli altri per alcune caratteristiche come una maggiore autostima, una minore alienazione sociale, migliori relazioni familiari caratterizzate da un minor numero di conflitti (Sapouna e Wolke, 2013). Inoltre i soggetti con livelli maggiori di resilienza sembra che facciano minore uso di droghe e alcol.

Conclusioni (provvisorie)

Analizzando gli studi qui riportati è importante sottolineare il ruolo fondamentale della resilienza che si sviluppa grazie a alcune caratteristiche specifiche come: un buon contesto familiare,  una buona rete sociale, fattori individuali come un certo livello di autostima,  uno sviluppo morale accurato, la capacità autoregolativa delle emozioni, lo sviluppo dell’empatia e, non ultimo, i fattori cognitivi e lo sviluppo di schemi non disadattivi e funzionali, utilizzabili nei propri processi di valutazione di informazioni contestuali, relazionali e ambientali.

Sono questi alcuni dei concetti chiave con i quali familiarizzare per parlare di bullismo e per affrontarlo senza pregiudizi né luoghi comuni, ma con qualche riferimento scientifico, solido e attendibile. Sono questi, infine, alcuni dei fattori sui quali è importante iniziare a lavorare nei programmi di prevenzione e intervento, affinché il bullismo possa essere non solo qualcosa di cui parlare ma sia qualcosa su cui agire con determinazione e efficacia.

Questo articolo è il risultato di una ricerca bibliografica svolta con la collaborazione preziosa della mia collega e amica Maria Celeste Saccà alla quale vanno la mia stima e la mia gratitudine.