“Domandati se sei felice e smetterai di esserlo”, ha scritto J.S. Mill, non si può inseguire la felicità, quello che possiamo fare è impegnarci con totale coinvolgimento nella nostra vita, in ogni azione della nostra vita, e da questo impegno potrà emergere un senso di benessere interiore che si avvicina molto a un senso di felicità.
Quello che si può scoprire studiando il testo di Mihàly Csìkszentmihàlyi (Flow, psicologia dell’esperienza ottimale) è un approccio molto ampio e articolato che non propone nessuna tecnica e nessun accesso immediato al flow e a tutto il senso di benessere che può iniziare a pervaderci durante il flow, semplicemente perché è un processo, e coerentemente con il pensiero del suo autore (dal nome impronunciabile), l’unico modo per scoprirlo è aprirsi con curiosità.
Felicità o benessere interiore?
La felicità non capita, non è il risultato della fortuna o del caso, non dipende dagli eventi esterni ma piuttosto da come noi interpretiamo questi eventi. La felicità necessita di attenzione e cura, imparando a controllare la propria esperienza interiore che ci aiuterà a migliorare la qualità della nostra vita, che è, ci dice Csìkszentmihàlyi, la cosa più vicina alla felicità che possiamo raggiungere.
Viktor Frankl scrive nel suo libro (Alla ricerca di un significato nella vita):
“Non puntare al successo, più lo cerchi più ti sfuggirà. Non si può inseguire il successo e neppure la felicità: deve essere una conseguenza, l’effetto secondario non intenzionale di quando una persona si dedica a un’impresa più grande di lei”.
La ricerca del piacere è un riflesso condizionato, presente nel nostro patrimonio genetico per preservare la specie, non per il nostro vantaggio personale. Non c’è niente di male nel seguire questa predisposizione genetica e a godere dei relativi piaceri che fornisce, basta riconoscerli per quello che sono e mantenere su di essi un certo controllo quando occorre perseguire scopi diversi, ai quali si può decidere di dare la precedenza. Tuttavia, nella società attuale, tendiamo a considerare ciò che proviamo come la vera voce della natura, l’autorità a cui oggi diamo ascolto e fiducia è l’istinto: se qualcosa ci piace, se è naturale e spontanea, ci troviamo a dedurne che allora è giusta. Ma quando seguiamo le istruzioni genetiche e sociali senza metterle in discussione, perdiamo il controllo della coscienza e ci abbandoniamo in balia di forze esterne e fuori dal nostro controllo. Questa apparente libertà di scelta, questa approvazione incondizionata dell’istinto o delle pulsioni, produce in realtà conseguenze reazionarie. Un “realismo” che è piuttosto un fatalismo, non ci assumiamo responsabilità delegando ogni cosa alla presunta “natura” con le sue leggi indecifrabili. La sottomissione alla programmazione della natura può essere molto pericolosa, perché ci rende inermi e vulnerabili. La soluzione è riuscire a emanciparsi poco a poco dalle ricompense della società e imparare a sostituirle con altre che dipendono da noi stessi, la strada più efficace è imparare a trovare delle ricompense nei fatti quotidiani. Quando impariamo a trovare significato e soddisfazione nell’esperienza quotidiana, nel processo di vivere, il peso del controllo sociale cade automaticamente.
“Non sono possibili grandi miglioramenti nella condizione degli esseri umani fino a che non si verificherà un grande cambiamento nella natura di fondo della loro modalità di pensiero” (J.S. Mill)
L’esperienza ottimale
Tendenzialmente possiamo fare poco o niente per indirizzare ciò che nella nostra vita è determinato dalla biologia e dal caso, siamo spesso in balia di forze senza nome, le rare volte che riusciamo a avere il controllo delle nostre azioni e essere padroni del nostro destino, proviamo un senso di euforia e un senso di benessere interiore. L’esperienza ottimale è proprio questo: è il momento in cui dopo un impegno faticoso raggiungiamo un risultato appagante, è un coinvolgimento profondo che produce un effetto che ci soddisfa o ci aiuta a portare a termine qualcosa di importante. Contrariamente a quanto pensiamo di solito, questi momenti così significativi nella nostra vita, non sono momenti passivi, di totale relax o abbandono, ma sono il risultato di un grande impegno mentale proteso verso la realizzazione di qualcosa in cui crediamo profondamente. L’esperienza ottimale è qualcosa che noi facciamo accadere. Le esperienze ottimali vengono descritte nello stesso modo da uomini e donne, giovani e vecchi, ricchi e poveri, di qualsiasi cultura essi siano.
All’origine dello scontento
Secondo Csìkszentmihàlyi, il motivo principale per cui la felicità è così difficile da raggiungere è che l’universo non è stato progettato per il benessere degli esseri umani. È quasi infinitamente grande e per gran parte è incredibilmente freddo e vuoto. È luogo di enorme violenza, come quando esplode una stella, i pianeti sono quasi tutti inospitali, e anche la Terra ha avuto bisogno di milioni di anni per divenire vivibile, costringendo i suoi abitanti a sopravvivere al ghiaccio, al fuoco e alle inondazioni. I processi naturali non sono casuali, rispondono a leggi che possono essere previste e spiegate, tuttavia i processi naturali non tengono conto dei desideri umani. “L’universo non è ostile e non è neppure amichevole. È solo indifferente”, afferma J.H. Holmes.
Quando una certa cultura ha fortuna e sembra in grado di controllare l’imprevedibile forza della natura, questa enorme fiducia nella natura umana e nella scienza e nel progresso, può portare a credersi un popolo eletto e a non temere più il pericolo, questa hybris culturale, o questa presunzione che l’universo debba e possa rispondere con sensibilità ai bisogni umani, è pericolosa, porta a credere che la vita sia facile e il progresso inevitabile, per poi sprofondare nella paura e nello sconforto ai primi segnali che tutto questo non è vero. Quello che in passato ha protetto l’uomo dalla paura (religioni, patriottismo, usanze etniche, rituali sociali, ecc.) non funziona più, e le persone si sentono esposte al caos e a ciò che sembra inconoscibile e non controllabile.
Il piacere e il benessere interiore
Spesso ci troviamo a pensare che la felicità consista nel provare piacere: una serata con amici divertenti, un concerto, una buona cena, rapporti sessuali gratificanti, e in generale tutto quello che di piacevole si può raggiungere per una vita comoda.
Il piacere è un sentimento di appagamento che si prova quando le informazioni che sono nella coscienza dicono che le aspettative stabilite dai programmi biologici o dal condizionamento sociale sono state realizzate. Il piacere, dunque, è un elemento importante per la qualità della vita, ma in sé non porta la felicità. Attività come dormire, riposare, mangiare o avere rapporti sessuali, sono esperienze omeostatiche che ci ristorano, rimettendo a posto i bisogni che hanno creato entropia psichica, ristabiliscono un senso di ordine e dunque di piacere, ma non producono crescita psicologica, non aumentano la complessità del sé. Il piacere mantiene l’ordine interno ma non è in grado di creare un ordine nuovo nella coscienza.
Se pensiamo a quello che rende gratificante la nostra vita, ci accorgiamo probabilmente che l’aspetto principale è qualcosa che possiamo chiamare benessere interiore. Gli eventi che creano un benessere interiore si verificano quando non solo si è appagato un bisogno, un desiderio o una aspettativa, ma quando si è riusciti a raggiungere qualcosa che va oltre, da un movimento in avanti come un sentimento di novità o uno sforzo premiato. Le esperienze che danno piacere possono creare anche un benessere interiore, ma sono due sensazioni molto diverse. Si può provare piacere senza investire energia psichica, mentre il benessere interiore si ha solo come conseguenza di un grande investimento di energia in un’attività psichica. Si può provare piacere senza nessuna fatica, semplicemente attivando i centri cerebrali adeguati, come accade durante la pratica di uno sport, un viaggio, una conversazione stimolante, ma è impossibile trovare benessere interiore attraverso uno sport, un libro o una conversazione tra amici se l’attenzione non è completamente concentrata sull’attività.
È per questo che il piacere è così effimero e il sé non cresce con esperienze piacevoli. La complessità necessita investimento di energia psichica in obiettivi nuovi e stimolanti.
Una ricerca svolta da Csìkszentmihàlyi e collaboratori (svolta con il metodo ESM, Experience Sampling Method presso l’Università di Chicago), ha coinvolto partecipanti in tutto il mondo per rilevare che cosa rende un’esperienza fonte di benessere interiore per ognuno.
La cosa più evidente che è emersa è quanto si somigliassero le descrizioni di attività anche molto diverse tra loro che le persone ritenevano significative per il proprio benessere interiore. E questo era indipendente dalla cultura, dalla classe sociale, dal sesso e dall’età dei partecipanti. Ciò che queste persone descrivevano come attività capace di dare loro benessere interiore erano molto diverse tra loro, ma la descrizione di come si sentivano quando provavano benessere interiore, era sempre la stessa: l’esperienza ottimale e le condizioni psicologiche che rendono possibile questo stato d’animo sembrano essere identiche in tutto il mondo.
Le caratteristiche principali emerse dalla descrizione di uno stato di benessere interiore sono:
- L’esperienza si verifica di solito quando affrontiamo dei compiti che siamo in grado di svolgere
- Dobbiamo essere in grado di concentrarci su quello che stiamo facendo
- Il compito intrapreso ha obiettivi chiari e genera un feedback immediato
- L’impegno profuso è profondo ma non genera fatica, ed è in grado di allontanare da altri tipi di preoccupazione
- Si ha una sensazione di controllo sulle proprie azioni
- Scompare la preoccupazione per il sé, un sé che poi ricompare più forte al termine dell’esperienza
- Il senso del tempo viene alterato, non ci si accorge del tempo che passa
L’esperienza di flow è connessa al nostro livello di intenzione. Csíkszentmihályi definisce intenzione l’atto di concentrare la nostra attenzione in un’azione o su un obiettivo.
Il modello di fluttuazione dell’esperienza di Csíkszentmihályi individua l’esperienza di Flow quando abbiamo un bilanciamento positivo tra alte abilità e alte sfide, cioè alte risorse percepite dagli individui che combaciano con alte sfide.
Lo stato di flow rappresenta l’opportunità di godere appieno delle nostre esperienze senza la pretesa di provare a controllare una realtà che di controllabile e prevedibile ha ben poco.
“Non basta essere felici per avere una vita eccellente. Il segreto è essere felici facendo cose che mettono alla prova le nostre capacità, ci fanno crescere e ci portano a esprimere tutto il nostro potenziale.” (M. Csìkszentmihàlyi)
Riferimenti bibliografici:
Flow, psicologia dell’esperienza ottimale di M. Csìkszentmihàlyi. Ed. Roi (1990)
Se pensi di voler iniziare un percorso psicologico per affrontare una situazione per te critica o complessa e ritrovare un maggiore benessere personale
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Ringrazio la psicologa Daria Tinagli per la sintesi molto dettagliata dell’interessante libro proposto all’attenzione pubblica, che ancora non ho letto, ma che questa presentazione induce sicuramente a leggere. C’è un passaggio che interpella particolarmente la mia coscienza. Quando si parla genericamente di una cultura che ha più “fortuna” rispetto ad ad altre culture di avere un controllo più ampio sui vari fenomeni che contraddistinguono l’esperienza umana nel mondo e di conseguenza si parla del rischio di hybris culturale. Poi si parla anche di paura che l’uomo cerca di tenere sotto controllo attraverso diverse esperienze, tra cui quella religiosa. Mi chiedo cosa si intenda per “fortuna”, se una congiuntura casuale degli eventi, oppure una interazione con gli stessi che prende spunto dalla motivazione personale e dalla forza interiore che si origina dalla propria coscienza. Visto che l’autrice parla di “benessere interiore” mi chiedo se il flow che costituisce questo postulato benessere sia formato ed informato da valori esistenziali, e qui bisognerebbe considerare anche l’esperienza religiosa, che per noi cristiani si basa sulla rivelazione biblica che in Cristo raggiunge il suo culmine e compimento. Oppure sia piuttosto un flusso di benessere mutevole e sfuggente, perennemente condizionato da una sorta di progressivo stream of consciousness.
Grazie Luigi!