Prendere decisioni e scegliere è un compito che riguarda tutti, prima o poi, già dalla scelta della scuola superiore, ma a volte anche prima, con la scelta di uno sport da praticare, e più andiamo avanti con gli anni più le scelte si fanno frequenti e complesse. Scegliere è qualcosa che ci accade frequentemente e che spesso affrontiamo senza strategie specifiche e soprattutto consapevoli, anche per questo motivo, forse, il fatto di scegliere porta con sé una grande dose di stress e ansia.

E’ possibile considerare prima di tutto le possibili modalità con le quali affrontare una scelta o una decisione. Difficilmente le persone sanno esprimere in modo articolato il percorso di una scelta personale, ma ci sono studi specifici che ci permettono di avere una panoramica di questo processo di decision making che riguarda tutti noi.

Esistono quattro stili decisionali (o modalità di coping) che sono comunemente usati per prendere decisioni complesse, questi stili sono influenzati da diverse variabili, come il tempo a disposizione o l’ottimismo e il pessimismo associati alla possibilità di compiere una scelta adeguata, questi stili sono associati a diversi livelli di stress.

Gli stili decisionali più frequenti sono:

  • vigilanza: la persona è ottimista, pensa di riuscire a trovare una soluzione e crede di disporre di un tempo sufficiente per farlo;
  • ipervigilanza: la persona pensa di non disporre di tempo sufficiente e opta per una scelta frettolosa che possa velocemente ridurre lo stress provato e disimpegnarsi così dal conflitto;
  • evitamento difensivo: la persona è pessimista rispetto alla propria capacità di trovare una soluzione a un problema difficile, così fugge da una situazione ritenuta stressante procrastinando, trasferendo la responsabilità a altri o cercando una ragione a supporto dell’opzione risolutiva che non sempre è la migliore;
  • compiacenza: la persona risolve il problema ignorandolo o aderendo senza riflettere a qualsiasi soluzione venga proposta.

Di questi quattro stili possibili, soltanto il primo è adattivo, cioè funzionale al compito, gli altri tre stili di coping sono definiti disadattivi, cioè disfunzionali e fuorvianti.

Secondo Janis e Mann ognuno presenta tutti questi stili di coping, ma ognuno li usa con una frequenza diversa a seconda delle proprie inclinazioni personali, caratteristiche di personalità e in particolare la propria capacità di tolleranza allo stress.

La persona che ricorre a un problem solving per effettuare una scelta può essere considerato un decisore vigilante, cioè capace di perseguire obiettivi, confrontare opzioni diverse, valutare le possibili conseguenze. La persona che utilizza strategie centrate sulle emozioni, per negare o allontanarsi da un problema, può essere considerata un decisore che minimizza o banalizza la portata del problema decisionale per evitarlo.

Quando una persona si trova a compiere una scelta, può essere preoccupata per gli eventuali danni di immagine di una scelta sbagliata o la possibilità di andare contro i consigli o le opinioni di persone fidate, questo genera ansia e stress nella persona che si trova a decidere (teoria del conflitto di Janis e Mann).

Secondo questa idea, lo stress si genera quando la persona si trova a scegliere e teme di sbagliare e di conseguenza perdere l’approvazione e l’appoggio di qualcuno e allo stesso tempo mettere a rischio la propria autostima.

Prendere una decisione che poi si rivela sbagliata potrebbe portare a conseguenze difficili da gestire:

  • rimpianto per le opzioni non scelte
  • aspettative eccessive e paura del giudizio altrui
  • autocritica, senso di colpa e autosvalutazione

In questo ultimo caso può ridursi il senso di autoefficacia e dare luogo a un circolo vizioso che compromette la capacità decisionale futura.

McGiggins suggerisce di valutare la posta in gioco per svolgere una prima selezione:

  • nessuna posta in gioco, rischio zero
  • posta in gioco bassa, basso rischio
  • posta in gioco alta, con alto rischio

Le decisioni a rischio zero risultano facili, come potrebbe essere la scelta di un ristorante, non determinano rischi né perdite e hanno conseguenze gestibili. In questi casi una buona mossa è affidarsi al caso o delegare ad altri la scelta.

Le scelte a basso rischio potrebbero avere qualche conseguenza negativa, comunque trascurabile. La cosa migliore sarebbe confrontarsi con una persona di fiducia, per poi prendere la decisione.

Le decisioni ad alto rischio sono le più difficili. Sono i casi in cui le conseguenze a lungo termine sono significative. Per affrontare queste decisioni complesse è necessario un piano più strutturato.

McGiggins suggerisce 7 passi da seguire per prendere decisioni complesse:

  • fare una lista di ciò che realmente conta
  • raccogliere dati e informazioni sulle opzioni disponibili
  • ricordarsi che lo stress emerge nel contesto di opzioni altrettanto valide, quindi la decisione non è affatto ad alto rischio
  • identificare l’opzione che l’intuito considera la migliore
  • comparare ogni opzione disponibile con quella identificata al punto precedente
  • eliminare un’opzione per sempre, senza tornarci su. Se il blocco persiste, chiedere consiglio a un gruppo ristretto di persone fidate. Non più di cinque
  • impegnarsi e andare fino in fondo senza tornare sui propri passi.

 

 

Riferimenti bibliografici:

Scelte e decisioni scolastico professionali. L. Nota, L. Mann, S. Soresi, A. Friedman. Ed. Giunti 2002