Scolpire la propria statua è un’espressione usata da Plotino che vuole così indicare il modo di raggiungere la realizzazione di se‘.
È spesso fraintesa, fa pensare a una posa da assumere, una maschera da mostrare, un atteggiamento da costruire. Invece no. Per gli antichi la scultura è un’arte che toglie, contrariamente alla pittura che aggiunge. La statua esiste già nel pezzo di marmo: per farla apparire basta togliere il superfluo.
La felicità, il raggiungimento della propria realizzazione sta in questo processo di sfoltimento che porta libertà, autonomia, indipendenza, scoperta dell’essenziale.
Come la statua è già nel marmo, la felicità è già in ognuno di noi, dentro e non fuori, basta trovare il modo di farla emergere, liberandoci da ciò che la offusca e la nasconde mascherato da abbondanza.
Anche in Platone si incontra Glauco, Dio marino, ricoperto di alghe, limo, detriti e sassolini: l’anima è così, ci dice Platone, per essa il corpo è una specie di corazza che la deforma e le impedisce di emergere, potrebbe emergere solo gettando tutto il resto lontano da sé. E’ solo così che si potrebbe raggiungere la sapienza, uno stato di liberazione dalle passioni che ci permetterebbe una conoscenza profonda di noi stessi e del mondo.
A volte tornare ai classici aiuta a vedere meglio il presente, Calvino lo chiamava ‘il brusio di fondo’, quel rumore che, una volta letti, i classici continuano a fare nella nostra testa, aiutandoci a orientarci meglio nel presente e nella nostra quotidianità. I testi di Plotino riescono ancora a parlarci, e Hadot, nel suo bellissimo ‘Esercizi spirituali e filosofia antica’ ce lo propone così, con un concetto che forse oggi fa fatica a farsi davvero capire e sentire, ma provare a leggerlo e a farlo nostro può essere, secondo me, un primo passo verso una felicità più vera.
Bibliografia:
Le Enneadi, Plotino.
Esercizi spirituali e filosofia antica di Pierre Hadot, ed. Einaudi
La Repubblica, Platone